venerdì 8 gennaio 2016

Una governance bancaria per la crescita economica


 “Il governo ha fatto un passo importante con la riforma delle popolari e ora con quelle delle Bcc. Ma deve andare oltre e liberare le banche dal controllo delle fondazioni. Per arrivare a questo risultato basta imporre quella diversificazione di portafoglio evocata nel principio della legge e ignorata nella pratica che dovrebbe essere naturalmente seguita da tutte le fondazioni. In questo modo il controllo effettivo passerebbe nelle mani dei fondi, che proprio per questo devono essere indipendenti dalle banche.”(di Luigi Guiso e Luigi Zingales - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/QcXIBS)

Le crisi finanziarie sono un fenomeno abbastanza diffuso nella globalizzazione a partire dagli anni 90. Il mix di politiche economiche liberiste prodotte dal Washington Consensus con sistemi bancari e aziendali orientati alla sharedholder value maximization e mercati finanziari speculativi hanno fatto fallire prima quasi tutti i paesi di nuova industrializzazione e poi hanno prodotto la crisi sistemica del 2008. C’è quindi una statistica abbastanza ampia per poter comprendere come le crisi finanziarie sono state prodotte e cosa è possibile fare per evitare una loro ulteriore realizzazione.
Il quado politico-economico internazionale. Il livello delle politiche economiche internazionali è fondamentale per comprendere le crisi finanziarie, compresa la crisi finanziaria del 2008. Il Washington Consensus ha creato le basi per la realizzazione delle crisi finanziarie sistemiche attraverso le “conditionalities” ovvero delle condizioni poste nei confronti degli stati in condizioni di difficoltà di finanza pubblica. Le istituzioni internazionali hanno prestato denaro in una ottica di breve periodo e hanno chiesto in cambio degli interventi di politica economica di lungo periodo comprendenti: privatizzazioni, liberalizzazioni del mercato, apertura del mercato bancario ai competitori globali, politiche monetarie volte al rafforzamento del valore della moneta. La conseguenza delle politiche economiche imposte dal Washington Consensus è stata la crisi finanziaria dei paesi colpiti. Una crisi inevitabile, seriale. La stessa metodologia ha fatto fallire l’Argentina, la Russia, i paesi asiatici. Il clima del liberalismo ha avuto anche un ruolo nel confezionamento della Grande Crisi Finanziaria del 2008 quando la mancanza di controlli sul sistema dei derivati e delle cartolarizzazioni dei mutui ha prodotto la crisi. Gli stati hanno avuto difficoltà a intervenire per salvare banche, mercati, risparmiatori, imprese e posti di lavoro a causa della mancanza di una condizione di finanza pubblica florida. La crisi finanziaria è stata peggiorata dalla crisi del debito degli stati con effetti devastanti sulla produzione, sull’occupazione e sul sistema finanziario. Il liberismo puro del laissez faire ha dimostrato la sua capacità distruttiva. La diseguaglianza globale è cresciuta anche nei paesi dell’occidente con un impatto sulla popolazione. La crisi ha prodotto un impatto anche sotto il punto di vista demografico, sulla salute dei cittadini, sul grado di scolarizzazione, sulla presenza di nuove categorie sociologiche come i NEET ovvero i giovani privi di fiducia e fuori sia dal mercato del lavoro sia da processi di formazione, in un contesto occidentale caratterizzato da un forte invecchiamento della popolazione. Il liberismo ha distrutto risorse senza la capacità di produrre garanzie, tutele, per salvare i soggetti deboli della società e per dare nuove possibilità, nuove opportunità di crescita economia ai soggetti falliti durante la crisi. Durante le fasi di successo della globalizzazione i mercati vengono considerati come i depositari della saggezza economica. Tuttavia quando il mercato fallisce, quando la produzione industriale perde il 30%, quando le banche sono costrette a chiedere aiuti di Stato allora i mercatisti riscoprono una delle relazioni fondamentali del capitalismo: il nesso Stato-Mercato.
Il ruolo degli Stati è rinforzato dalla globalizzazione. Gli Stati sono sempre più considerati come enti vetusti da smantellare come se rientrassero in una forma di archeologia istituzionale. In realtà la crisi economica ha messo in evidenza l’importanza degli stati nel processo di salvataggio delle economie. Gli Stati con una struttura finanziari solida, in grado di essere sovrani nell’esercizio della finanza pubblica, hanno avuto maggiori possibilità di realizzare delle politiche economiche in grado di salvare le economie, i posti di lavoro, le banche, le imprese. I cittadini dovrebbero quindi prestare maggiore attenzione rispetto alle condizioni di finanza pubblica dello Stato. In caso di crisi finanziaria o bancaria lo Stato è  l’ente in grado di intervenire per salvare le economie. Il mercatismo deve quindi essere mixato con forme anche tenui di statalismo in grado di offrire garanzie ai cittadini, agli imprenditori, ai banchieri in caso di crisi finanziaria. La complessità dei problemi economici è tale da imporre agli esecutori delle politiche economiche un grado di moderazione per individuare le soluzioni. La crisi economica sarebbe stata senza via d’uscita se i mercatisti fossero riusciti nel tentativo di smantellare lo Stato negli anni precedenti la crisi economica.
Le politiche economiche aziendali: la shareholder value maximization. La shareholder value maximization è stata promozionata come una soluzione per le imprese in grado di garantire la crescita economica. Tuttavia quando la ricerca della massimizzazione dell’azionista viene ad essere realizzata da istituzioni bancarie in grado di avere un impatto sistemico allora i rischi possono mettere in crisi il sistema economico in modo determinate. La natura delle banche è complessa. Il ruolo delle banche nell’economia è poco chiaro. Alcuni economisti ritengono che le banche siano delle imprese come le altre in grado di produrre reddito, profitto anche attraverso la massimizzazione del valore degli azionisti. Altri ritengono che le banche siano delle istituzioni in grado di risolvere il fallimento del mercato consistente nell’asimmetria informativa tra chi possiede le risorse finanziarie e chi invece possiede dei buoni progetti di investimento. La crisi finanziaria ha dimostrato i rischi per le banche e per le intere economie derivanti dall’applicazione del sistema della shareholder value. Le banche aggressive sul mercato finanziario sono state colpite dalla crisi, hanno prodotto meno valore per gli azionisti, in molti casi sono state costrette a chiedere gli aiuti di stato per evitare il fallimento. La shareholder valure maximization applicata al sistema bancario ha mostrato le sue debolezze i rischi sistemici alle quali è esposta. Le banche che invece hanno operato attraverso un sistema economico in grado di creare relazioni anche con il territorio, con attenzione alle organizzazioni, alle associazioni, alle istituzioni pubbliche, ovvero attraverso un orientamento di tutela nei confronti dei portatori di interesse hanno avuto una maggiore capacità di superare la crisi economica e di permanere nell’ambito del sistema bancario senza chiedere sostegni pubblici. Le banche cooperative, le banche popolari per quanto abbiano sofferto la crisi hanno dimostrato, nel complesso, una maggiore stabilità e un sistema di governance in grado di servire gli interessi dei cittadini attraverso la fornitura di credito e di servizi bancari e finanziari.
I mercati finanziari speculativi. I mercati finanziari speculativi hanno dimostrato di saper creare delle operazioni complesse aventi come collaterale uno dei contratti più diffusi presso la popolazione ovvero  il contratto di mutuo. La creazione di un sistema finanziario speculativo è stata possibile grazie agli scarsi controlli delle istituzioni. I mercati finanziari liberi di agire hanno trasformato una delle più sicure operazioni finanziarie, ovvero il mutuo, in una delle più pericolose attività in grado di mettere in crisi una intera economia attraverso i processi di cartolarizzazione e la produzione di derivati. I mercati finanziari hanno trovato nelle banche un partner d’eccezione per la realizzazione dei prodotti derivati. La commistione tra banche e mercati finanziari deve essere ridimensionata. Le banche devono avere come oggetto specifico di attività la fornitura di servizi nei confronti dell’economia reale, delle famiglie, delle imprese. I mercati finanziari devono svolgere attività su aziende quotate, sui titoli quotati, all’interno dei mercati regolamentati. Gli enti di regolazione devono controllare le “innovazioni finanziarie” per evitare la produzione di nuovi “mostri” in grado di mettere in crisi il sistema economico. La dimensione dell’economia finanziaria globale è tale da necessitare forme di controllo globale. Gli operatori dei mercati speculativi possono fare fallire quasi tutti gli stati in via di sviluppo, e di nuova industrializzazione, e, come hanno dimostrato dal 2008, possono far fallire anche l’occidente. La finanza è un prodotto della cultura occidentale. La finanza deve essere controllata e utilizzata come una forza in grado di rendere il percorso di crescita dell’economia più efficiente. Le crisi finanziare possono essere evitate attraverso la ripresa del dialogo tra Stato e mercato nella consapevolezza che le istituzioni dell’economia nel loro complesso hanno la capacità di produrre crescita e di limitare i danni provenienti dalle crisi economiche.
La governance bancaria. Le bcc, le popolari e le banche con parti sociali attive hanno dimostrato di essere solide durante la crisi finanziaria. Il governo dovrebbe realizzare delle politiche economiche per controllare i mercati finanziari e impedire la commistione tra banca e mercati. Il governo potrebbe anche disporre dei limiti alle operazioni finanziarie delle banche orientate alla shareholder maximization. Il modello di governance delle banche cooperative e popolari può essere assunto come riferimento per la governance bancaria per la crescita economica. 

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