giovedì 17 luglio 2014

Il bacio di Cassandra

« Gli accordi di Bretton Woods continuano a esercitare un grandissimo fascino tanto […]La sua visione istituzionale è legata a un sistema di sicurezza globale. Secondo Keynes l'elemento chiave fu il processo di deliberazione e pianificazione internazionale condotto da "una singola potenza o da un gruppo di potenze accumunate dalla stessa visione". […]Il rivale di Keynes, Friedrich Hayek, si spinse ancora più oltre affermando che l'ordine giusto e durevole non avrebbe mai dovuto essere negoziato, doveva essere spontaneo. […]In effetti, tutti i grandi successi della diplomazia finanziaria su vasta scala furono raggiunti grazie a negoziati bilaterali.[…] Oggi, la diplomazia economica internazionale ruota intorno a Cina e Stati Uniti.[…] Cosa potrebbe convincere i leader cinesi a rafforzare in tempi brevi quell'economia globale aperta che ha permesso la crescita della loro economia centrata sulle esportazioni? Un possibile catalizzatore potrebbe essere una crisi finanziaria provocata dal sistema bancario ombra, così carico di rischi. Un altro la corsa alla leadership globale. O forse lo stimolo verrà dal timore che il mondo scivoli verso il protezionismo, con accordi commerciali bilaterali e regionali, come l'Accordo transatlantico per la liberalizzazione del commercio e degli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership, Ttip), che acuiscono le divisioni fra chi li sottoscrive e il resto del mondo. […]Gli accordi di Bretton Woods hanno dimostrato come debba esserci una grande crisi per mettere in atto una dinamica politica riformista.»(Cosa ha reso possibili gli accordi di Bretton Woods di Harold James e Domenico Lombardi13 luglio 2013).

In questo articolo si mette in evidenza il contesto che ha portato alla costituzione degli accordi di Bretton Woods costitutivi dell’ordinamento istituzionale globale fondato sulla Banca centrale e sul Fondo monetario internazionale con il riconoscimento formale del declino “felice” anglosassone e della nuova egemonia statunitense. Il sistema di Bretton Woods ha funzionato come sistema di coordinamento e cooperazione istituzionale soprattutto perché esso poneva fine ad un periodo di contrapposizioni legate alla seconda guerra mondiale. Nell’articolo non si fa riferimento al protezionismo post crisi 1929.  Vi è stata dunque una ragione di carattere economico che ha dato origine nel periodo 1929-1938 alla crescita di quella tensione internazionale fondata sulla centralità di stati nazionali chiusi al commercio internazionale che ha portato alla seconda guerra mondiale. Il livello di protezionismo internazionale è una buona inferenza circa la probabilità di un conflitto regionale, continentale o mondiale. La crescita del livello di protezionismo consente di dare qualche posto di lavoro in una qualche nazione o regione e di incrementare in modo più che proporzionale il rischio di un conflitto armato utranazionale e ultraregionale. I paesi dell’Unione Europea da sempre impegnati in un gioco a somma zero sul commercio internazionale hanno trovato il loro difficile equilibrio nella costituzione dell’euro. Nel resto della braudeliana “economia mondo” questa possibilità non sembra essere ancora determinata. Perché per quanto gli Stati nazionali godano di una reputazione sempre più bassa rispetto al mercato è anche vero che i paesi di nuovo sviluppo la Cina, il Brasile, la Turchia,l’India così come anche gli Stati Uniti e la Russia danno al carattere statuale della loro economia un ruolo fondamentale che potrebbe portare ad una  crescita del livello di protezionismo tale da portare ad una nuova guerra regionale, nazionale oppure continentale.  Tuttavia è necessario considerare che se Bretton Woods ha avuto successo è stato anche perché la pianificazione delle relazioni internazionali è uno strumento di politica economica per creare un quadro di crescita ,sviluppo e convergenza. La guerra ha costretto i paesi a pianificare e purtuttavia la pianificazione è uno strumento sempre esperibile per la politica economica internazionale. E’ difficile comprendere perché la pianificazione funziona nel settore privato e invece deve essere del tutto rigettata nelle relazioni internazionali tra gli Stati. Gli operatori del mercato pianificano circa il funzionamento della propria azienda sia come entità autonoma che nelle sue relazioni con le altre imprese e con il mercato nel suo complesso compreso anche lo Stato. Niente di male quindi se anche gli Stati realizzano una qualche pianificazione soprattutto se volta ad incrementare gli scambi commerciali, a ridurre i rischi sistemici di carattere commerciale e finanziario per evitare che si determini un conflitto armato. Al massimo possiamo considerare l’esistenza di una contrapposizione tra la pianificazione realizzata dallo Stato e quella realizzata dalle tante organizzazioni di carattere informale a carattere privatistico, cooperativo e mutualistico che  decidono zone ed aree di influenze della politica economica “dal basso” oltre che sugli stati. Sono questi soggetti i maggiori oppositori della pianificazione del commercio internazionale e dell’equilibrio finanziario globale realizzato dagli stati. La funzione di pianificazione della politica economica è stata privatizzata di fatto dalle organizzazioni informali capaci di produrre una diritto di fatto ponendo le condizioni dello sviluppo o della crisi di paesi, regioni, e continenti. La crescita in potenza delle organizzazioni informali è una conseguenza dello sfarinamento dello Stato sociale, delle privatizzazioni, delle nuove tecnologie, delle nuove possibilità offerte dall’innovazione finanziaria applicata al settore assicurativo. Sotto il punto di vista del diritto comune informale l’organizzazione “Superiorem non recognoscens” è rappresentata dalle organizzazioni informali. Le organizzazioni informali non riconoscono ente normativo superiore a sé, neanche se si tratta dello Stato.
Tuttavia in questo caso auspicare il ritorno a qualche condizione di maggiore crisi per ritornare ad una contrattazione statale sarebbe dolce come il bacio di Cassandra.  


giovedì 3 luglio 2014

Banche centrali globali


«Negli ultimi tempi la Federal Reserve sembra soddisfatta della sua politica monetaria, anche se a partire dalla metà del 2007 non è stata in realtà sufficientemente espansionistica. Il tipo di strategia che ad oggi avrebbe senza dubbio successo è una politica simile a quella implementata dalla Fed nel 1979 e nel 1933, dalla Gran Bretagna nel 1931 e attualmente da Shinzo Abe.
[…] la Fed non è solo la banca centrale statunitense, bensì la banca centrale del mondo.
[…]Un paese che modifica la sua politica monetaria rispetto agli Stati Uniti, modifica anche il suo tasso di cambio in modo consistente e, nel mondo globalizzato di oggi, ciò comporta il rischio di complicanze nel settore delle importazioni ed esportazioni.
[…] Gli Stati Uniti non sono quindi solo un’economia in un mondo fatto di economie diverse che seguono le proprie politiche monetarie ed un regime di tasso di cambio flessibile, ma esercitano in realtà un’egemonia globale.
[…] Spostando il target dell’inflazione annuale del regime monetario al 4%, oppure al 6% della crescita del PIL nominale su base annua, gli Stati Uniti metterebbero in moto un rapido processo di riequilibrio all’interno dell’eurozona.
[…] Gli interessi politici, di sicurezza e, certo, anche economici di medio e lungo termine dell’America richiedono che la Fed riconosca che la sua missione politica non si limita al raggiungimento ed al mantenimento dell’equilibrio interno, ma implica anche svolgere il suo ruolo di banca centrale del mondo, bilanciando la domanda aggregata e l’offerta potenziale per l’economia globale come un’unica entità. »

In questo articolo si mette in evidenza la capacità della Banca Centrale Statunitense di influenzare direttamente a mezzo della sua politica economica l’intera “economia mondo”.
Si tratta di una possibilità che in effetti va riconosciuta alla Banche Centrale statunitense anche se in una situazione di cambiamento della importanza relativa della FED  indotta dalla modificazione della condizione strutturale dell’economia globale.
Se guardiamo al livello di produzione del prodotto interno lordo nazionale degli Stati Uniti come percentuale della produzione mondiale possiamo dal 1999 al 2013 si verifica una riduzione significativa della partecipazione del PIL mondiale dal 30,2% al 22%.
Nello stesso periodo anche l’UE ha ridotto la partecipazione al PIL mondiale dal 28% del 1999 al 23% del 2013.
La Cina ha incrementato la partecipazione al PIL mondiale dal 3 % al 12,3 %.
Nel 2013 di ogni dollaro prodotto nell’economia mondiale 22 centesimi li hanno prodotti gli USA, 23 centesimi li ha prodotti l’UE e 12,3 centesimi sono stati prodotti dalla Cina.

Dato World Bank http://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.CD

Dati World Bank http://data.worldbank.org/indicator/FM.LBL.MQMY.ZG





Fatto pari a 1 dollaro la quantità di moneta emessa nell’economia mondo si verifica che 16 centesimi sono stati emessi dagli USA, 29 centesimi sono stati emessi dall’EU, 17 sono stati emessi dalla Cina nel 2012.
               
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
United States
20,3
19,1
18,9
18,7
18,1
5,6
17,4
15,9
15,2
15,5
European Union
33,9
35,8
36,4
36,9
39,2
1,2
35,8
33,3
31,7
28,8
China
6,3
6,4
6,9
7,9
8,3
3,1
11,9
13,5
14,8
16,9

L’importanza relativa delle economie globali va quindi considerata sulla base della produzione  e della emissione della moneta da parte delle banche centrali.
A causa della maggiore integrazione delle economie nella globalizzazione si verifica una maggiore importanza dell’area europea, intesa nel suo complesso ovvero costituita sia dai paesi con euro che dai paesi senza euro, e dalla maggiore presenza dell’economia cinese.
In questo contesto è necessario considerare la necessità di maggiore interconnessione delle politiche economiche dei vari paesi. In modo particolare possiamo verificare che maggiore è l’interconnessione delle economie maggiore la necessità di realizzare un coordinamento delle politiche economiche monetarie delle banche centrali.
Forse sarebbe anche possibile immaginare una nuova costruzione di istituzioni globali in grado di incrementare la convergenza verso le economie più virtuose nell’armonizzazione delle politiche economiche monetarie.
Rimane aperta la questione dei mercati finanziari e degli hedge funds operativi nell’economia della globalizzazione ed in grado di modificare la struttura degli investimenti e la volatilità dei mercati finanziari.
Un maggiore coordinamento nella costruzione di istituzioni in grado di realizzare una politica economica unitaria.
Se infatti l’economia globale è una unità è anche vero che questa unità è differenziata e governata da diverse istituzioni.
All’unità della globalizzazione si accompagna l’eterogeneità delle istituzioni operanti nella globalizzazione.




mercoledì 2 luglio 2014

Il paradosso dell’innovazione finanziaria

« Un gruppo sempre più nutrito di funzionari attuali e passati continua a esprimere preoccupazione sui potenziali rischi futuri negli Stati Uniti, in Europa e a livello globale.  […]E una nuova e potente voce si è unita al coro: Kara Stein, commissario alla Securities and Exchange Commission (SEC). Stein ha tenuto , in cui sosteneva che il rischio sistemico deve diventare una responsabilità più centrale per gli enti di vigilanza dei mercati finanziari. […] Gli enti di vigilanza delle banche stanno iniziando a prendere più seriamente queste problematiche – un cambiamento incoraggiante rispetto agli anni 90 e ai primi anni 2000, quando la Fed appoggiava una sfrenata innovazione finanziaria senza dare giusto credito al rischio sistemico.[…] I rischi sistemici in questo caso non risiedono necessariamente in una singola azienda; il problema è piuttosto il modo in cui alla fine funziona un particolare mercato. Stein ha delle idee credibili e precise su come rendere queste operazioni meno rischiose per il sistema in generale. Per quanto però la valutazione del rischio sistemico sia una questione tecnica, inevitabilmente alla fine passa dalla politica.» (Il rischio sistemico va preso seriamente, Simon Johnson, Il Sole 24 ore,http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2014-06-30/il-rischio-sistemico-va-preso-seriamente-190222.shtml?uuid=ABwm8MWB)


 In questo articolo si prende in considerazione la necessità di tenere sotto controllo il rischio sistemico. In modo particolare le banche centrali e gli organi di  regolamentazione finanziaria sono alla ricerca di nuovi strumenti per eliminare o ridurre la  probabilità che nuove crisi finanziarie di portata “strutturale” possano verificarsi. Si tratta di un obbiettivo lodevole per degli enti che sono pagati dai contribuenti per assicurare la stabilità dei prezzi e l’occupazione ( la Fed)  e la certezza del diritto delle operazioni nel mercato finanziario (Sec). Si tratta tuttavia anche di una attività impossibile da realizzare. La maggior parte dei rischi di natura sistemica,per non dire  tutti i rischi di natura sistemica, derivano da innovazioni finanziarie. Le innovazioni finanziarie non possono essere eliminate. Non si può infatti mettere un limite alla capacità giuridica degli operatori economici esercenti l’attività di assunzione di obbligazioni attive e passive. Poiché l’innovazione finanziaria non si può limitare in alcun modo è altresì possibile che anche la capacità produttiva di rischi sistemici rimanga intatta a prescindere dalla capacità del sistema finanziario di procedere alla determinazione di regole di funzionamento e di tutela dei mercati finanziari. La recente storia economica e finanziaria ci racconta di bolle speculative che si sono manifestate prima con la bolla dotcom, poi con i  mutui subprime.  In realtà non sappiamo quale sarà la prossima bolla economica e finanziaria e quale sarà il contratto finanziario che essi porranno in essere per determinare la struttura dei prezzi. Tuttavia possiamo anche sottolineare che la capacità da parte del mercato finanziario di determinare una struttura a bolla speculativa dipende da tensioni che si verificano sul livello dei prezzi. La struttura di una bolla finanziaria tende ad essere abbastanza regolare nel corso del tempo. Dalla bolla dei tulipani in poi ogni bolla finanziaria si determina in relazione ad una crescita del prezzo del bene scambiato indipendentemente dall’utilizzo che di tale bene è possibile fare all’interno di una determinata economia. Quando i prezzi salgono sospinti non da una domanda reale quanto piuttosto da una domanda di immediato realizzo, allora si verifica una condizione nella quale la struttura dei prezzi può condurre ad una crisi economia e finanziaria. In modo particolare possiamo verificare che questa opportunità si verifica anche con riferimento ai beni oggetto di cartolarizzazioni e derivati. L’innovazione finanziaria può essere una forza determinante nel processo di produzione e distribuzione di una crisi finanziaria. In modo particolare possiamo dire che non vi sono crisi finanziarie che non siano legate in un qualche modo alla presenza di innovazione finanziaria. Tuttavia è necessario pure considerare che quando l’innovazione finanziaria viene resa nota attraverso la distribuzione nei portafogli  degli investitori si verifica la possibilità di un margine di intervento da parte degli enti di regolamentazione. Tuttavia questo margine di intervento potrebbe non essere sufficiente per evitare che l’innovazione finanziaria si traduca in una procedura capace di generare un rischio sistemico. Soltanto se l’innovazione finanziaria è sostenibile è possibile che la sua diffusione produca una crescita economica e finanziaria, ovvero uno sviluppo delle transazioni tale da produrre una evoluzione del sistema economico.Tuttavia se l’innovazione finanziaria non è sostenibile ci sono dubbi sulla possibilità che la sua diffusione possa tradursi in uno sviluppo del sistema economico e finanziario. Una innovazione finanziaria non sostenibile per un grande numero di soggetti transattori può produrre una crisi sistemica.E allora come fare per evitare che si verifichino delle crisi finanziarie sistemiche ? E’ necessario controllare la diffusione delle pratiche finanziarie e verificarne la sostenibilità. Il regolatore dovrebbe controllare la capacità produttiva del mercato e valutare se le innovazioni finanziarie sono in grado di apportare dei miglioramenti al sistema economico oppure se esse hanno una capacità distruttiva. La necessità di questo controllo  cresce con la crescita del numero dei contraenti le innovazioni finanziarie e insieme con il valore delle attività economiche oggetto di transazione.
Una regolamentazione dell’innovazione finanziaria non avrebbe molto senso secondo il detto  “lascia che mille fiori sboccino”. Tuttavia quando le innovazioni finanziarie sono diffuse presso la popolazione o quando i valori transati sono rilevanti per una determinata industria si può verificare la manifestazione di un rischio sistemico. Ed è nella distribuzione di queste pratiche che esiste un interesse pubblico alla regolamentazione finanziaria tale da giustificare l’attenzione degli enti di regolamentazione alla questione del rischio sistemico.