venerdì 26 settembre 2014

E’ la globalizzazione, bellezza !

« La globalizzazione, come molti hanno notato di recente, è in ritirata. Nonostante tutti i suoi vantaggi innegabili, ha generato problemi di governance e di gestione che hanno rivelato l’inadeguatezza dei governi nazionali e delle istituzioni internazionali. Ciò ha fatto si che le persone, ovunque nel mondo, sia ricche che povere, debbano affrontare i problemi – dal fallimento degli Stati a quello delle banche, dallo sfruttamento alla sotto-occupazione, dai cambiamenti climatici alla stagnazione economica – a cui la globalizzazione ha contribuito ma che non riesce ad affrontare efficacemente. Istituzioni fragili hanno dato luogo a ripercussioni politiche e al pericolo di disastri su molti fronti. […]Nessuno è disposto a perdere i vantaggi di un’economia globale, , ma tutte le grandi potenze stanno cominciando a riflettere su come proteggersi dai suoi rischi, militari e non. […]Eppure l’interdipendenza è innegabile. […]Con la frammentazione che minaccia di sostituire la globalizzazione, l’urgenza ora è quella di condividere i concetti, le intuizioni, e le buone pratiche che possano mettere insieme le persone e scongiurare i pericoli.» (Martina Larkin, Riavviare la globalizzazione, Il Sole 24 ore) 

Nell’articolo considerato si mettono in evidenza i rischi del rallentamento della globalizzazione. Si paventa il rischio di una sorta di ritirata della globalizzazione. E’ noto che l’economia è una scienza triste e che tra le sue scuole di pensiero maggiori vi è la scuola degli economisti cassandrini, sempre verdi e pieni di risorse. Tuttavia al netto delle considerazioni circa la sensibilità dinanzi a fenomeni di crisi occorre considerare il fenomeno della globalizzazione nella sua complessità. La globalizzazione è un fenomeno fondato sul centralismo delle imprese sui governi, sullo shortermismo contrapposto alla programmazione di lungo periodo, sulla frammentazione piuttosto che sull’integrazione, sulla scienza come meccanismo di prova inferenziale e falsificazione. Ovvero la globalizzazione viene proprio da quel postmoderno del quale si mettono in evidenza in modo alterno i vantaggi e gli svantaggi. Per quando la modernità liquida possa avere scardinato molti dei sistemi economici,delle convinzioni politiche e delle sicurezze personali, anche in senso amoroso-sentimentale, è pur vero che è essa stessa il motore della globalizzazione, la sua intima essenza. La globalizzazione è un fenomeno di lungo periodo sotto il profilo storico. Esso attraversa non solo i territori, ma anche le culture, le civiltà, le lingue, le narrazioni stesse di un popolo, di una nazione, di un gruppo etnico. Tensioni che hanno trovato nella modernità liquida la possibilità di manifestarsi in modo compiuto. Pertanto anche se l’occidente vive una sua crisi la globalizzazione continua va avanti. Lo sviluppo dell’Africa, insieme con il Far East sono elementi che fanno comprendere come la crescita delle connessioni, del prodotto interno lordo globale, del reddito procapite e del reddito disponibile alla popolazione sono in continua diffusione. Così come anche le idee. Tuttavia è chiaro che se si vuole affrontare la questione della globalizzazione dal lato dello Stato si vedrà che lo Stato è in crisi. Tuttavia lo Stato come lo abbiamo conosciuto in Europa dal 1648 ad oggi, ovvero lo stato-nazione, è una rarità nella storia degli Stati. La gran parte degli Stati che hanno prodotto civilizzazione sono stati multietnici. E del resto l’Unione Europea da un lato e gli Stati uniti dall’altro sono esempi di stati multietnici; l’Unione Europea per costituzione, gli Stati Uniti grazie all’immigrazione. Fanno eccezione in questo senso gli stati del Far East che sembrano avere una maggiore uniformità culturale al proprio interno. Tuttavia nessuno Stato da solo può governare la globalizzazione. Gli Stati, se permangono in una condizione di efficienza amministrativa, possono partecipare alla globalizzazione e creare le opportunità per lo sviluppo delle interazioni tra le organizzazioni produttive. Tuttavia la globalizzazione riguarda più il  privato, il comune e il civile che il pubblico. Il privato, il comune e il  civile partecipano della realizzazione di una nuova fase degli enti pubblici con orientamento anche meta-statale.
La globalizzazione quindi è in ritirata ?  Sembra proprio di no. Al massimo sono in ritirata quegli ordinamenti inefficienti e arretrati rispetto alle sfide della globalizzazione.









martedì 16 settembre 2014

L’inflazione è una parte di PIL


« L'epoca dell'alta inflazione è finita per sempre? In un mondo di crescita lenta, enorme indebitamento, terribili pressioni distributive, chiedersi se l'inflazione sia morta e sepolta o appena dormiente è di somma importanza.» [...]«Oggi l'alta inflazione pare a tal punto remota che molti analisti la considerano come poco più di una curiosità teorica.» […]«E alcune delle stesse pressioni che hanno contribuito a contenere l'inflazione negli ultimi vent'anni stanno venendo meno.» «[…] il tasso di inflazione a lungo termine di un Paese è tuttora il prodotto di scelte politiche e non di decisioni tecnocratiche.» […]«Eppure, sul lungo periodo, non c'è garanzia che una banca centrale sia in grado di restare salda e tenere la propria posizione in caso di shock violenti come la continua lentezza della crescita della produttività, gli alti livelli di indebitamento, una pressione a ridurre l'ineguaglianza tramite trasferimenti pubblici.» […] « Il modello moderno delle banche centrali ha fatto meraviglie per abbassare l'inflazione.»(K. Rogoff, Il sole 24 ore, L'inflazione è «dormiente» ma non è morta)

Nell’articolo considerato si fa riferimento alla questione della bassa inflazione come un problema strutturale dell’economia occidentale. In realtà dobbiamo ricordare quanto l’inflazione sia stato un enorme problema del corso dello sviluppo dell’economia. Nel 900 si sono avuto periodi di altissima inflazione in corrispondenza di guerre oppure in corrispondenza di veri e propri fenomeni epocali. La scomparsa dell’inflazione dal novero degli fenomeni macroeconomici empirici deve essere messa in relazione con la scomparsa della crescita economica nelle  economie occidentali. Se infatti consideriamo la relazione tra inflazione e tasso di crescita per l’unione europea possiamo verificare che , escluso il periodo della stagflazione nel decennio che ha visto vincere le politiche economiche monetariste su quelle keynesiane, per la restate parte della storia economica recente l’inflazione si è accompagnata alla crescita economica.
Sicché possiamo affermare che l’inflazione potrà manifestarsi di nuovo quando l’economia tornerà a crescere. E’ chiaro che non si fa riferimento a tassi di inflazione a due cifre che sono rappresentativi di situazione di crisi dell’economia. Ma di quel tipo di inflazione, che come i debitori sanno bene, lubrifica i meccanismi dell’industria e dell’impresa e consente ai soggetti economici di poter avere maggiore serenità nelle scelte.
L’inflazione è parte della crescita economica. Quando  torneremo a crescere torneremo a verificare la presenza dell’inflazione.

Inflazione e Crescita economica in Europa dal 1960 al 2013.Dati WB

sabato 13 settembre 2014

From too weak to wake to awake on wave


«Raramente il confronto tra i governi europei è stato aspro quanto negli ultimi giorni. Il ritorno dell'economia in recessione ha reso più mordente la diffidenza reciproca e più tagliente il linguaggio.[…] L'annuncio unilaterale del governo francese di non rispettare i vincoli di bilancio ha sfiorato l'irrisione; i toni con cui Berlino rimprovera gli altri paesi sono diventati acrimoniosi; la Bce chiede all'Italia sforzi fiscali ancora maggiori, ma è finita essa stessa nel mirino del governo tedesco. Tutti sembrano prepararsi a un regolamento di conti.[…] Bisogna che questa assurda escalation dei toni rientri nei ranghi ragionevoli. […] bisogna subito riaccendere il motore, con un piano di investimenti.[…] Il pacchetto dei tre motori - domanda, riforme, investimenti - è realizzabile all'interno del Patto di stabilità.[…] Alla fine […] la vera debolezza strutturale dell'euro area […] è […] nel vuoto di volontà politica e di cooperazione solidale. » (CarloBastasin, Se l'Europa rischia la resa dei conti , Il sole 24 ore,12 settembre2014) 

In questo articolo si mettono in evidenza le caratteristiche del dibattito europeo fondato sulla contrapposizione tra le varie economie nazionali. Le frizioni tra i vari paesi europei sono tali da creare una continua discussione tra tensione alla europeizzazione e la ricaduta in termini di interesse nazionale. Le scorse elezioni europee sembrano non essere state in grado di mettere una fine alla contrapposizione nel tentativo di puntare sugli elementi comuni per riprendere il progetto dell’Europa Unita come area comune degli europei e come area leader nella globalizzazione. La crescita economica non può realizzarsi senza un attivismo a livello politico-istituzionale che si fondi su di una costituzione condivisa che sia rigida. Il patto di stabilità fondato su regole auree deve essere inserito in un quadro costituzionale che consenta di creare maggiore fondamento all’ordinamento europeo. Le regole condivise devono essere scritte in una costituzione rigida. La rigidità della costituzione anche in materia economica deve accompagnarsi alla presenza di una flessibilità nelle politiche economiche. In questo senso la creazione di un governo europeo è fondamentale. Le politiche economiche devono invece essere flessibili, soprattutto sotto il punto di vista fiscale poiché le condizioni economiche dei paesi europei sono diverse e quindi hanno bisogno di diverse politiche economiche fiscali. Occorre quindi cambiare la struttura dell’ordinamento europeo. Una costituzione rigida che consenta di eleggere un parlamento ed un governo in grado di realizzare in modo pieno la disposizione del potere legislativo ed esecutivo e che consentano anche la creazione di un potere giudiziario europeo, e dall’altro lato delle politiche economiche che siano flessibili, in grado di corrispondere alle esigenze e ai bisogni delle varie aree nazionali e regionali che compongono l’Europa. La politica economica deve essere flessibile. La politica economica è, nella definizione di Neville Keynes “arte del governo”.  La quale circostanza richiede che innanzitutto vi sia un governo europeo e che sappia realizzare delle politiche che siano anche in grado di cambiare per seguire, contrastare, anticipare il ciclo  economico e per andare incontro alle caratteristiche tipiche di alcune economie locali. E’necessario quindi introdurre elementi di un costituzionalismo rigido e forte nell’UE ed evitare che il punto di maggiore confronto sia il patto di stabilità. La politica economica deve essere lasciata libera di consentire ad un ordinamento di conseguire gli obbiettivi fissati dalla
costituzione per incrementare il significato politico dell’UE.Se invece si lascia che la costituzione sia mutevole in un quadro di politica economica rigida si rischia non solo di ridurre il significato politico dell’UE ma anche di ridurre le probabilità di conseguire quegli stessi obbiettivi indicati come fondamentali.  L’UE basata sul patto di stabilità è “Too weak to wake”. Solo un fondamento costituzionale rigido della costituzione può consentire all’UE di trovare la forza di svegliarsi e performare la migliore politica economica nel contesto della globalizzazione.