venerdì 29 agosto 2014

Nuove istituzioni bancarie per risolvere il credit crunch

«La crisi ha messo a nudo e anzi aggravato i tradizionali punti deboli della struttura finanziaria del nostro mondo produttivo e quindi rischia di mantenere, o addirittura aumentare, il ritardo delle nostre imprese rispetto ad altri Paesi, creando un vero e proprio "cuneo finanziario" che si aggiunge a quello fiscale, già di per sé preoccupante. Guardando ad esempio ai dati della Bce sul costo medio dell'indebitamento delle imprese, si osserva che a luglio le imprese italiane pagavano per il breve termine un tasso superiore a quelle di Francia, Germania e Spagna compreso fra 1,68 e 0,31. Il differenziale per i tassi a lungo termine risulta inferiore, ma siccome il nostro è il Paese in cui è più diffusa l'indicizzazione ad un tasso a breve per i prestiti a medio termine (e anche questo è un problema), il primo spread è quello che conta.» (Marco Onado, Il «cuneo finanziario» che pesa sull'impresa, Il sole 24ore, 29 agosto 2014)

L’alto costo del credito caratterizza l’economia italiana in modo strutturale rendendo difficile per le imprese realizzare dei progetti aldi fuori dell’economia bancaria. Le imprese sembrano essere legate in modo strutturale alle banche.  Il “monopolio” del credito riconosciuto alle banche riduce la possibilità da parte delle imprese di finanziarsi attraverso altra via e nello stesso tempo riduce la possibilità da parte delle imprese di realizzare quella libertà economica della quale ci hanno parlato gli economisti neoclassici e che taluni legislatori, come quello italiano, hanno posto nella costituzione. Uno squilibrio che nello stesso tempo tiene fuori i risparmiatori  dalla possibilità di decidere quali siano le imprese virtuose. Non dobbiamo infatti dimenticare che sono i risparmiatori ad allocare presso le banche quelle risorse che poi vengono ad essere impiegate nell’investimento nelle attività delle imprese. I risparmiatori affidano alla banca una delega alla risoluzione dell’asimmetria informativa tra chi detiene risorse a titolo di risparmio e chi invece necessita di risorse per realizzare degli investimenti. Una delega che quindi le banche amministrano in modo inefficiente quando dispongono un alto prezzo del credito nei confronti delle imprese, oppure quando hanno dei problemi nella selezione delle imprese vincenti o dei progetti imprenditoriali profittevoli. Per  questa ragione in altri paesi che sono caratterizzati da una maggiore importanza del mercato nel finanziare le imprese rispetto  al sistema europeo, si realizza il cosiddetto external finance, ovvero la possibilità da parte delle imprese di ricorrere al mercato attraverso la collocazione di titoli obbligazionari oppure di azioni, rivolgendosi direttamente al pubblico dei risparmiatori ed anche agli investitori istituzionali. La possibilità di accedere ad un altro strumento di finanziamento delle imprese rende più concreta quella libertà dell’iniziativa economica privata che sembra caratterizzare i sistemi economici occidentali.  Tuttavia è necessario pure considerare che anche in Italia  si è dato origine attraverso il crow founding a una apertura del novero dei soggetti che possono partecipare al finanziamento delle imprese. Il limite del crow founding consiste ovviamente nel fatto che le imprese finanziabili sono start up e quindi non vi sarebbe  possibilità per una impresa che magari esista già da alcuni anni e che abbia uno storico negativo di poter essere rifinanziata. E allora in queste circostanze è necessario riprendere in mano la funzione dell’institutional building. Non dobbiamo dimenticare che ogni volta che il capitalismo si è trovato in difficoltà ha prodotto delle nuove istituzioni in grado di risolvere delle problematiche. Anzi in realtà il capitalismo stesso potrebbe essere considerato come una istituzione prodotta dalla civiltà occidentale per risolvere il problema della produzione e approvvigionamento delle risorse. Per esempio le banche stesse sono state introdotte per risolvere dei fallimenti di mercato. Ora il fallimento di mercato costituito da quelle imprese che hanno una capacità di produzione pure avendo uno storico negativo e che per tale ragione non possono essere finanziate perché non considerate solvibili, può essere risolto con l’istituzione di organizzazioni ad hoc.  Istituzioni che siano finalizzate alla efficienza delle imprese che hanno capacità produttive anche se in una condizione generale di difficoltà. Imprese che magari hanno un eccesso di debiti, una struttura di bilancio negativa, oppure bassi profitti, e che purtuttavia hanno ancora una capacità produttiva dovrebbero essere “reinserite” nel mercato da istituzioni finanziarie ad hoc che si occupino di ripristinare l’efficienza nelle imprese attraverso processi generativi, sia a carattere creditizio che amministrativo e manageriale. Molto spesso questa attività viene svolta in modo altamente speculativo da diversi enti o istituzioni che operano nel settore “private” e che si ingeriscono nella proprietà delle imprese. Sarebbe invece il caso che il processo di rigenerazione delle imprese avvenisse attraverso un approccio di carattere mutualistico, non profit, e se possibile su base solidaristica e cooperativa anche se su grande scala.
E’ necessario considerare che ogni volta che si salva una impresa, il che significa salvare la capacità dell’impresa di realizzare degli investimenti produttivi anche a mezzo del credito, si salva una cultura imprenditoriale, artigianale, di mestieri e di attivismo sociale e civico che potrebbe essere difficile andare a ricostruire.

Tuttavia per realizzare questo tipo di attività è necessario costituire delle organizzazioni economiche a fondamento istituzionale che siano in grado anche di dare senso a quell’institutional building capability che si pone come momento fondamentale del processo della civilizzazione occidentale e globale. 

giovedì 28 agosto 2014

Il debito tedesco pesa sull'Unione Europea

« Il furore rigorista degli ultimi anni si è fermato ma il motore riformista stenta a partire. Risultato, l'Europa si dibatte tra recessione e minaccia deflazionista. […] L'eccesso di austerità inflitto al fianco Sud dell'euro è stato controproducente: ne ha gelato l'economia facendone lievitare i debiti che avrebbe invece dovuto contribuire ad abbattere. L'inventario dei danni collaterali che hanno finito per lambire anche il Nord, visto l'alto grado di interdipendenza nell'area, da tempo suggerisce una correzione di rotta: giocando la partita doppia del rigore temperato, da affiancare a un serio impegno alla modernizzazione e de-sclerotizzazione dei vari sistemi-paesi del club. In breve, all'attuazione di riforme strutturali riscoperte come l'unico vero motore di crescita sostenuta nel mondo globale.Se la dottrina tedesca è diventata assolutamente dominante (con il suo bagaglio di errori al seguito), è anche perché nessuno finora ha saputo contrapporle valide ricette alternative. Il vetero-socialismo e le scorciatoie del deficit-spending sono state superate dalla storia.» (Adriana Cerretelli, Le credenziali obbligate di Italia e Francia, Il sole24 ore ,di 28 agosto 2014)

 

Nel citato articolo si fa riferimento alla condizione strutturale dell’Unione Europea. La presenza non soltanto di economie che sono differenziate per caratteristiche produttive, strutture di bilancio, condizione del debito pubblico e cultura economica, ma pure per una forte caratterizzazione politica economica legata. La contrapposizione tra un Nord, Nord Est ricco e virtuoso e un Sud-sud Ovest povero e con scarse possibilità di crescita economica accompagna dal 1989, se non anche da prima, il processo di integrazione dell’economia europea. Non sarà possibile mettere d’accordo le aree diverse dell’Unione europea in una unica politica economica. Né l’austerità ha lo stesso effetto su tutti i paesi e le stesse popolazioni. Se per i tedeschi l’austerità può servire a svolgere una sorta di extra-motivazione che agisce sulle ragioni metastoriche dell’esistenza del popolo germanico azionati dal tentativo di emancipazione da se stessi e dal passato pesante, per altri popoli l’austerità si manifesta come punizione dinanzi alla propria identità culturale e produttiva e fa scaturire sensi di colpa, rinunce, ripiegamenti su se stessi.

La questione del debito è la più sconcertante di tutte. Se infatti il debito si considera sotto il mero punto di vista economico- finanziario allora vi sono vari strumenti che potrebbero essere utilizzati per mettere fine alla questione del debito di alcuni paesi: maggiore solidarietà intraeuropea, creazione di eurobond, realizzazione di un sistema europeo di controllo e gestione dei conti,la creazione di un ministero europeo per l’armonizzazione dei conti degli Stati membri, e così via.

Tuttavia se per debito intendiamo l’eccesso di fiducia riposta in un popolo e la sua difficoltà a corrispondervi allora la questione è più complessa e si entra quasi in una sorta di eugenetica morale, fatta di superiorità dei popoli misurata in relazione al  rispetto di regole a volte difficili da valutare, basate su principi di correttezza e purezza della morale.

Nel ranking dei paesi affidabili ci sono la Germania e altri paesi del Nord. E non ci si rende conto di quante volte questi paesi hanno messo a rischio il bene comune della pace europea per perseguire i propri obbiettivi di purezza.

L’eugenetica morale è un problema soprattutto in un continente abitato da 250 milioni di persone circa parlanti più di una ventina di lingue diverse e a struttura etno-antropologica complessa e cangiante.

E allora cosa pesa di più sull’Unione Europea ?

Il debito amministrativo-finanziario dei paesi del Sud che comunque sarebbe risolvibile con strumenti di politica economica che abbiamo già citato oppure il debito dei tedeschi che si pone come momento metastorico di emancipazione di un popolo dalla dubbia storia ?

Il debito tedesco pesa sull’Europa assai più di quello dei paesi del sud.

Soprattutto perché il debito tedesco non è risolvibile con gli strumenti amministrativi.

domenica 24 agosto 2014

La partecipazione democratica tra politica e finanza

In un articolo pubblicato su “ il sole 24” intitolato “ Quando la corruzione diventa legalità” si fa riferimento alla  diffusa e crescente corruzione che riguarderebbe gli stati uniti in una sempre più presente commistione tra politica e finanza. L’editorialista scrive che: «La dimensione globalizzata del capitalismo finanziario ha fatto si che la corruzione della legalità dai paesi di maggiore influenza politica ed economica si espandesse velocemente agli altri». L’elemento che avrebbe fatto scaturire la  valutazione circa la centralità crescente della corruzione negli usa sarebbe da rinvenirsi nelle sentenze della corte suprema statunitense la Citizen United v FecC del gennaio 2010 e la recentissima McCutcheon v Fec del2 aprile 2014,  che avrebbero  «[…]definitivamente tolo ogni limite ai finanziamenti, diretti e indiretti, ai politici da parte delle grandi società in qualunque forma e attraverso qualsivoglia mezzo. » Secondo l’editorialista «Gli interessi della comunità finanziaria diventano così indissolubilmente legati alla politica […] ».  «[…] il governo degli Stati Uniti sta sempre più diventando “Government of Corporations” e non “Government of People” ». Con tali provvedimenti  « […]la corruzione si è inserita nella legalità» al punto tale che il finanziamento delle campagne elettorali sarebbe stato associato al fondamentale diritto di parola poiché «[…] secondo la decisione di McCutcheon […] “Corporations are people and Money is Speech” » 

Ora è necessario considerare che negli Stati Uniti il sistema di finanziamento della politica è sempre stato in chiaro come dimostrano molte istituzioni che tengono le fila dei finanziamenti ai politici e ai partiti. Nulla questio quindi se i gruppi finanziari del paese ritengono di finanziare le campagne elettorali dei soggetti politici in grado di difendere taluni particolari interessi e constituencies. L’elemento di democrazia consiste nella trasparenza. La trasparenza rende i cittadini responsabili delle scelte dei politici. I cittadini possono verificare se i politici hanno ottenuto dei finanziamenti. I cittadini possono valutare la capacità del politico di essere indipendente oppure di farsi “catturare” dal soggetto finanziatore e quindi decidere di rivotarlo o meno. L’esistenza di una legge, e di sentenze, chiarificatrici è da considerarsi un elemento di civilità. La proposizione “corporations are people”  ha un suo fondo di verità. In un sistema ad azionariato diffuso le grandi imprese sono in grado di rappresentare delle componenti fondamentali della popolazione. Popolazione che potrebbe anche non partecipare dell’attività  politica in modo diretto e che purtuttavia vi partecipa in un modo indiretto a mezzo di una sorta di “extra-delega” assegnata all’impresa nella quale lavora, o nella quale ha investito i risparmi. Inoltre è necessario considerare il ruolo che le grandi imprese statunitensi hanno anche per la costituzione di un senso di identità nazionale. Molta parte della grandezza del capitalismo americano è legata alla capacità di sviluppare quelle organizzazioni complesse e multi obbiettivo che sono le big corporations. La big corporation rappresentano anche i sogni, le speranze e il senso di comunità nazionale.
E’ chiaro che la commistione tra finanza e politica potrebbe mandare in corto circuito l’economia e la democrazia statunitense se non vi fossero passaggi elettorali in grado di coinvolgere i cittadini come singoli e come membri di gruppi associati. Poiché nella democrazia sono sempre le persone a detenere il “potere sovrano” di uno Stato, anche in presenza di imprese profittevoli. La commistione politica-finanza per poter essere efficiente deve innestarsi nel processo democratico che chiama in causa il popolo.
Incrementare il numero delle votazioni, degli enti per i quali si vota, delle consultazioni referendarie, e anche sui singoli temi,può sembrare un costo per la velocità decisionale. Tuttavia in alcune circostanze può essere fondamentale per fare in modo che la relazione tra politica e finanza sia inserita in un contesto democratico e diventi quindi una risorsa per la democrazia e la prosperità.

Reference

Guido Rossi, Quando la corruzione diventa «legalità», Il sole 24 ore, Domenica 24 agosto 2014, n. 231, pag. 1 e 12.