«La crisi ha messo a nudo e anzi aggravato i
tradizionali punti deboli della struttura finanziaria del nostro mondo
produttivo e quindi rischia di mantenere, o addirittura aumentare, il ritardo
delle nostre imprese rispetto ad altri Paesi, creando un vero e proprio
"cuneo finanziario" che si aggiunge a quello fiscale, già di per sé
preoccupante. Guardando ad esempio ai dati della Bce sul costo medio dell'indebitamento
delle imprese, si osserva che a luglio le imprese italiane pagavano per il
breve termine un tasso superiore a quelle di Francia, Germania e Spagna
compreso fra 1,68 e 0,31. Il differenziale per i tassi a lungo termine risulta
inferiore, ma siccome il nostro è il Paese in cui è più diffusa
l'indicizzazione ad un tasso a breve per i prestiti a medio termine (e anche
questo è un problema), il primo spread è quello che conta.» (Marco Onado, Il «cuneo finanziario» che pesa sull'impresa, Il sole 24ore, 29
agosto 2014)
L’alto costo del credito caratterizza l’economia italiana in modo
strutturale rendendo difficile per le imprese realizzare dei progetti aldi
fuori dell’economia bancaria. Le imprese sembrano essere legate in modo
strutturale alle banche. Il “monopolio”
del credito riconosciuto alle banche riduce la possibilità da parte delle imprese
di finanziarsi attraverso altra via e nello stesso tempo riduce la possibilità da
parte delle imprese di realizzare quella libertà economica della quale ci hanno
parlato gli economisti neoclassici e che taluni legislatori, come quello italiano,
hanno posto nella costituzione. Uno squilibrio che nello stesso tempo tiene
fuori i risparmiatori dalla possibilità di
decidere quali siano le imprese virtuose. Non dobbiamo infatti dimenticare che
sono i risparmiatori ad allocare presso le banche quelle risorse che poi vengono
ad essere impiegate nell’investimento nelle attività delle imprese. I
risparmiatori affidano alla banca una delega alla risoluzione dell’asimmetria
informativa tra chi detiene risorse a titolo di risparmio e chi invece
necessita di risorse per realizzare degli investimenti. Una delega che quindi le
banche amministrano in modo inefficiente quando dispongono un alto prezzo del
credito nei confronti delle imprese, oppure quando hanno dei problemi nella selezione
delle imprese vincenti o dei progetti imprenditoriali profittevoli. Per questa ragione in altri paesi che sono
caratterizzati da una maggiore importanza del mercato nel finanziare le imprese
rispetto al sistema europeo, si realizza
il cosiddetto external finance, ovvero la possibilità da parte delle imprese di
ricorrere al mercato attraverso la collocazione di titoli obbligazionari oppure
di azioni, rivolgendosi direttamente al pubblico dei risparmiatori ed anche agli
investitori istituzionali. La possibilità di accedere ad un altro strumento di
finanziamento delle imprese rende più concreta quella libertà dell’iniziativa
economica privata che sembra caratterizzare i sistemi economici
occidentali. Tuttavia è necessario pure considerare
che anche in Italia si è dato origine
attraverso il crow founding a una apertura del novero dei soggetti che possono
partecipare al finanziamento delle imprese. Il limite del crow founding consiste
ovviamente nel fatto che le imprese finanziabili sono start up e quindi non vi
sarebbe possibilità per una impresa che
magari esista già da alcuni anni e che abbia uno storico negativo di poter
essere rifinanziata. E allora in queste circostanze è necessario riprendere in
mano la funzione dell’institutional building. Non dobbiamo dimenticare che ogni
volta che il capitalismo si è trovato in difficoltà ha prodotto delle nuove
istituzioni in grado di risolvere delle problematiche. Anzi in realtà il
capitalismo stesso potrebbe essere considerato come una istituzione prodotta
dalla civiltà occidentale per risolvere il problema della produzione e
approvvigionamento delle risorse. Per esempio le banche stesse sono state introdotte
per risolvere dei fallimenti di mercato. Ora il fallimento di mercato
costituito da quelle imprese che hanno una capacità di produzione pure avendo
uno storico negativo e che per tale ragione non possono essere finanziate perché
non considerate solvibili, può essere risolto con l’istituzione di organizzazioni
ad hoc. Istituzioni che siano finalizzate
alla efficienza delle imprese che hanno capacità produttive anche se in una
condizione generale di difficoltà. Imprese che magari hanno un eccesso di
debiti, una struttura di bilancio negativa, oppure bassi profitti, e che purtuttavia
hanno ancora una capacità produttiva dovrebbero essere “reinserite” nel mercato
da istituzioni finanziarie ad hoc che si occupino di ripristinare l’efficienza
nelle imprese attraverso processi generativi, sia a carattere creditizio che
amministrativo e manageriale. Molto spesso questa attività viene svolta in modo
altamente speculativo da diversi enti o istituzioni che operano nel settore “private”
e che si ingeriscono nella proprietà delle imprese. Sarebbe invece il caso che
il processo di rigenerazione delle imprese avvenisse attraverso un approccio di
carattere mutualistico, non profit, e se possibile su base solidaristica e
cooperativa anche se su grande scala.
E’ necessario considerare che ogni volta che si salva una impresa, il che
significa salvare la capacità dell’impresa di realizzare degli investimenti
produttivi anche a mezzo del credito, si salva una cultura imprenditoriale,
artigianale, di mestieri e di attivismo sociale e civico che potrebbe essere
difficile andare a ricostruire.
Tuttavia per realizzare questo tipo di attività è necessario costituire
delle organizzazioni economiche a fondamento istituzionale che siano in grado
anche di dare senso a quell’institutional building capability che si pone come
momento fondamentale del processo della civilizzazione occidentale e globale.