martedì 29 marzo 2016

China Service



L’economia della Cina è rivolta alla riduzione della componente caratterizzata dalla produzione industriale, comprensiva anche delle costruzioni, e dal valore relativo dell’agricoltura. La Cina è una economia evoluta. Tuttavia la componente del prodotto interno lordo dell’economia cinese legata all’agricoltura è elevata. Il futuro dell’economia cinese per consentire elevati livelli di crescita economica deve essere fondato su di una riduzione del valore della produzione agricola e sull’aumento dell’economia dei servizi.  Tuttavia la crescita dell’economia cinese verso il settore dei servizi richiede un investimento in capitale umano. La dotazione di capitale umano della Cina sembra essere bassa per poter sostenere un investimento nel settore dei servizi tale da portare il livello dei Servizi ai valori delle economie occidentali. Un elemento fondamentale nel passaggio dall’economia centralizzata fondata sulla produzione industriale all’economia fondata sui servizi consiste nello sviluppo del sistema bancario-finanziario. Il policy maker cinese potrebbe puntare sul capitale umano della popolazione per consentire di incrementare il valore del prodotto derivante dai servizi e salvare, insieme con la dimensione qualitativa dell’economia cinese, anche l’ambiente.
Il prodotto interno lordo derivante dall’agricoltura. Il valore del prodotto interno lordo dell’economia cinese proveniente dall’agricoltura è elevato rispetto alle economie evolute, ovvero rispetto all’economia statunitense e all’euro area. La partecipazione dell’agricoltura alla creazione del prodotto interno lordo cinese è diminuita tra il 2000 e il 2014. Nel 2000 il valore del prodotto interno lordo generato dall’agricoltura è stato pari al 14,74% contro l’1,17% degli Usa e il 2,38% dell’eurozona. Nel 2013 il valore del Pil cinese prodotto dall’agricoltura è stato pari a 9,4% contro l’1,44% degli Usa e l’1,72% dell’eurozona.  Nel 2014 il valore del Pil cinese prodotto dall’agricoltura è stato pari a 9,17%. Il valore elevato dell’agricoltura nel Pil cinese potrebbe portare ad un rallentamento del processo di crescita economica, In una economia evoluta il valore dell’agricoltura in termini di PIL tende ad essere inferiore al 2%. Il processo di riduzione dell’importanza relativa dell’agricoltura può portare anche a processi di creazione di imprese agricole nuove in grado di ottimizzare i processi produttivi sia attraverso l’utilizzo dei sistemi industriali, sia attraverso l’impiego di tecniche per l’incremento della superficie coltivata. La riduzione del valore dell’agricoltura nel Pil cinese può avvenire attraverso la crescita del valore della produzione realizzata mediante gli altri settori dell’economia in modo particolare i servizi e l’industria.
Il settore industriale cinese. L’economia cinese è centrata sul settore industriale. L’industria è considerata comprensiva anche del settore delle costruzioni.  Nel 2000 il settore industriale cinese ha prodotto il 45,4% del Pil. Nello stesso anno l’industria a stelle e strisce ha prodotto il 23,12% del prodotto interno lordo statunitense, e l’industria dell’eurozona ha prodotto il 28 % del relativo prodotto interno lordo. L’economia cinese è centrata sul settore dell’industria. Tra il 2000 e il 2014 la partecipazione dell’industria alla produzione del PIL è diminuita del 2,7% passando dal 45,4% al 42,7%. Nel 2014 l’industria dell’eurozona ha generato il 24,2% del Pil complessivo. L’economia cinese risulta essere sbilanciata sul lato della produzione industriale. Le conseguenze di un eccesso di industrializzazione sono sia di carattere ambientale sia di carattere economico. Le crisi da sovrapproduzione possono diventare una realtà in una economia con uno squilibrio tra domanda ed offerta di fattori e in un contesto internazionale sensibile al protezionismo sui prodotti d’innovazione tecnologica.
L’economia dei servizi nella Cina. L’economia dei servizi in Cina ha un grado di sviluppo basso. Nel 2000 la partecipazione dell’economia dei servizi al prodotto interno lordo cinese è stata pari a 39,8% contro il 75% degli Usa e il 69% dell’Eurozona. Tra il 2000 e il 2014 il valore dell’economia dei servizi è aumentato in Cina fino a giungere al 48,1%. Nel 2014 il valore dell’economia dei servizi prodotta nell’eurozona è stato pari al 74% del relativo prodotto interno lordo. L’economia dei servizi può portare la Cina ad una modificazione strutturale dell’economia. L’economia dei servizi ha un impatto ambientale basso. I servizi necessitano di investimenti in capitale umano. Le professioni libere sviluppano una coscienza critica nella popolazione. L’economia dei servizi può portare ad uno sviluppo anche di una economia relazionale nuova fondata sia sulle tradizionali organizzazioni meso-sociali sia su istituzioni nuove. L’economia dei servizi può portare alla Cina una crescita economia fondata sul capitale umano, sul rispetto dell’ambiente e sulla crescita delle relazioni e della coscienza collettiva.

Una soluzione di politica economica. L’economia cinese potrebbe crescere nel settore dei servizi portando la percentuale del PIL generata nel terzo settore dal 48 al 75%. La crescita nel settore dei servizi risulta essere costosa in termini di politiche economiche. I servizi possono essere sviluppati in presenza di un capitale umano qualificato. Il governo dovrebbe incrementare la spesa in istruzione. Tuttavia i vantaggi di una economia dei servizi possono essere molteplici a cominciare dall’impatto ambientale basso. I servizi sono sostenibili a livello ambientale. Il valore di CO2 prodotto nell’esercizio di attività professionali legati ai servizi è ridotto. Tuttavia i servizi possono anche sviluppare una coscienza critica nella popolazione. Le professioni liberali possono indurre la popolazione a richiedere libertà individuali e collettive. I cinesi possono vincere attraverso l’economia dei servizi due battaglie: ottenere un ambiente sano e incrementare la presenza di diritti e libertà civili. L’economia dei servizi può consentire anche lo sviluppo di un sistema bancario-finanziario in grado di sviluppare connessioni con le libere professioni, le imprese e le attività economiche. Una economia fondata sulle relazioni, mutue, reciproche, civili in grado di consentire l’ottimizzazione della fiducia intrasociale.


giovedì 24 marzo 2016

Imprese italiane too little to succeed

LaConfindustria è chiamata a rinnovare la funzione del Presidente. La sfida della Confindustria italiana consiste nel trovare le soluzioni alla questione della permanenza del settore industriale nell’economia italiana. La fase attuale dell’economia italiana vede una riduzione degli investimenti nel settore industriale ed una crescita nel settore dei servizi. L’industria può consentire una crescita della produzione del valore aggiunto attraverso l’innovazione tecnologica. Tuttavia la scelta di investire nell’industria è costosa. Le dimensioni delle imprese italiane sono ridotte per consentire di aggredire i mercati finanziari globali e per introdurre elementi di ricerca tecnologica. La Confindustria dovrebbe puntare sulla creazione di piattaforme di governance in grado di incrementare la dimensione delle imprese piccole e medie per consentire il raggiungimento di economie di scala in grado di consentire l’investimento nella ricerca e nello sviluppo. La ricerca in Italia è affidata all’Università. L’Università è oggetto di un processo di riduzione degli investimenti. La ricerca realizzata dalle imprese è priva dell’efficienza necessaria per sostenere un processo di crescita economica. L’organizzazione confindustriale può aumentare la dimensione delle imprese.
Il livello di industrializzazione dell’Italia. La percentuale della partecipazione dell’industria al valore aggiunto complessivo Italiano è diminuito tra il 1991 e il 2014 di un valore pari al 6,3%. Tra il 2007 e il 2014 il valore aggiunto prodotto dall’Industria è diminuito del 2,9%. La crisi economica del 2007 spiega solo il 47% della perdita complessiva della capacità industriale italiana dal 1991 al 2014. Il valore aggiunto prodotto dall’industria in Germania ha prodotto nel 1991 è stato pari al 36,8%. Tra il 1991 e il 2013 la partecipazione dell’industria al valore aggiunto della Germania è stato ridotto di un valore pari al 6,5%. Tra il 2007 e il 2014 il valore aggiunto prodotto dall’industria è diminuito dello 0,2%. La crisi economica del 2007 spiega il 3% della perdita complessiva della produzione industriale della Germania. Il valore della produzione industriale in Germania è stata pari al 30% del valore aggiunto complessivo nel 1991. Tra il 1991 e il 2014 il valore aggiunto prodotto dall’industria nel Regno Unito è diminuito del 9,9%. Nel 2014 l’industria ha prodotto il 22,6% del Pil del Regno Unito. Tra il 2007 e il 2014 il valore della perdita nel settore industriale è stata pari all’1,6%. La crisi economica spiega il 16% della perdita della capacità produttiva dell’industria britannica tra il 1991 e il 2014. Il valore aggiunto prodotto dall’industria nell’economia francese è diminuito dal 1991 al 2014 di un valore pari al 7,2 %. Nel 1991 il valore della produzione di valore aggiunto derivante dall’industria in Francia è stato pari al 26% del Pil totale. Tra il 2007 e il 2014 il valore della produzione derivante dall’industria è stato ridotto dell’1,6%. La crisi finanziaria 2007-2014 spiega solo il 22,4% della perdita complessiva del prodotto interno lordo derivante dell’industria francese. L’impatto della crisi finanziaria sulla produzione industriale. La crisi finanziaria ha avuto un impatto sulla riduzione della capacità di produzione industriale italiana, tedesca, britannica e francese. Tuttavia la perdita di produzione industriale è iniziata nel periodo precedente. La riduzione della produzione industriale in Europa è solo in parte spiegata dalla crisi finanziaria.  

Strategie per la ripresa della produzione industriale. La crescita della produzione industriale in Italia può avvenire attraverso un processo volto alla crescita dimensionale delle imprese. Le imprese italiane sono troppo piccole per affrontare un processo di internazionalizzazione e di innovazione tecnologica. Le organizzazioni industriali possono creare degli incentivi per incrementare la dimensione delle imprese per avere un ruolo sia nell’economia interna, sia nel processo di creazione delle innovazioni tecnologiche sia nel processo di interzionalizzazione. I global players italiani possono avere maggiori probabilità di crescita anche in un confronto con la capacità produttiva dei paesi asiatici. 

giovedì 17 marzo 2016

I neet sono indifferenti al governo


La disoccupazionegiovanile tende a crescere con la riduzione del reddito pro capite. La strategia ottimale per crescere il numero dei giovani impegnati in attività di studio e di lavoro è incrementare il reddito pro capite. Il reddito pro-capite basso può comprimere le aspettative dei giovani. Le aree economiche aventi redditi bassi producono un numero di NEET elevato. Il rapporto tra NEET e reddito pro capite è rappresentato da un trade off negativo. La strategia ottimale per incrementare il numero delle persone impegnate in attività di studio e di lavoro consiste nell’incremento del reddito pro capite. Politiche economiche volte al sostegno del reddito possono portare ad una riduzione del numero dei NEET. Il governo ha deciso di evitare politiche a sostegno dei giovani. Le politiche economiche del welfare state sono fondamentali per incrementare il numero delle persone impegnate in processi produttivi. Il rifiuto del Governo italiano a realizzare delle politiche economiche di sostegno nei confronti dei giovani rende fondamentale l’impegno dell’Unione Europea. L’Unione Europea può incrementare il livello delle politiche economiche sociali anche per produrre eguaglianza sociale e offrire opportunità di crescita economica. Il futuro dell’Unione Europea dipende dalla capacità di creare una classe dirigente in grado di amministrare le istituzioni e di risolvere le questioni sociali.


La percentuale dei NEET in Italia.  I NEET in Italia sono aumentati dal 2003 al 2014. Nel 2003 la percentuale dei NEET era pari al 16,6%, nel 2004 pari al 16,8%, nel 2005 pari al 17,1%, nel 2006 pari al 16,8%, nel 2007 pari al 16,1%, nel 2008 pari al 16,6%, nel 2009 pari al 17,6%, nel 2010 pari al 19%, nel 2011 pari al 19,7%, nel 2012 pari al 21%, nel 2013 pari al 22%, nel 2014 pari al 22,1%. In una classifica delle nazioni per numero di NEET l’Italia è al terzo posto. La Repubblica di Macedonia è al primo posto con un valore dei NEET pari al 25,2%, la Turchia è al secondo posto con un valore dei NEET pari al 24,8%, l’Italia è al terzo posto con un valore dei NEET pari a 22,1%. Il Regno Unito ha un valore dei NEET pari all’11,9 per cento, la Francia ha un valore dei NEET pari a 11,4%, la Germania ha un valore dei NEET pari a 6,4%. Danimarca, Olanda e Norvegia sono i paesi virtuosi. La percentuale dei NEET in Danimarca è pari a 5,8%; la percentuale dei NEET in Olanda è pari al 5,5%; la percentuale dei NEET in Norvegia è pari al 5,5%. Danimarca, Olanda e Norvegia hanno programmi di sostegno al reddito per i giovani sia nella fase formativa sia nell’inserimento nel mercato del lavoro (Eurostat)
Le politiche economiche del welfare state. Il numero dei NEET tende ad essere ridotto nei paesi aventi politiche economiche di sostegno nei confronti del reddito dei giovani sia nella fase della formazione sia nella fase di inserimento nel lavoro. L’economia di mercato fondata sull’idea dell’individualismo, sull’affermazione personale può funzionare in presenza di incentivi adeguati. L’incentivo per sostenere attività di formazione e di inserimento nel mercato del lavoro è rappresentato dal reddito. Le politiche economiche possono incrementare il reddito per ottenere degli effetti positivi sul numero dei giovani impiegati in attività di studio e di lavoro. Il mercato ha bisogno dello Stato. Le economie di mercato performanti sono fondate anche sulla presenza di politiche in grado di sostenere gli studenti ed i lavoratori. L’Italia può partecipare al governo della globalizzazione attraverso la crescita delle persone impegnate in processi formativi e di lavoro. Il governo può realizzare borse di studio, sussidi al reddito, e procedere con la riduzione delle tasse sul lavoro per le imprese in grado di assumere. L’obbiettivo della crescita dei salari può rientrare tra le politiche economiche del lavoro e della coesione sociale. Il governo può predisporre una soglia di NEET. Il governo può ridurre il numero dei NEET ad una soglia inferiore al 12%.


Il rischio NEET. Il rischio consistente nell’avere una popolazione di NEET elevata consiste nella perdita di competitività del sistema Italia. I giovani italiani dovrebbero essere competitivi rispetto ai coetanei tedeschi, francesi, inglesi, americani. Il numero di NEET elevato produce un rischio reale in termini di ridimensionamento del ruolo internazionale dell’Italia, e della contribuzione dell’Italia anche al consesso europeo. Il ruolo dell’Italia nelle organizzazioni europee può essere ridotto a causa della presenza dei NEET. La marginalizzazione dei giovani italiani da parte del governo potrebbe portare ad una marginalizzazione del governo italiano nel contesto europeo ed internazionale. Il capitale umano è fondamentale nei processi di crescita economica. Incrementare il numero dei NEET produce una riduzione del valore del capitale umano con un effetto persistente sul tasso di crescita di lungo periodo dell’economia.




mercoledì 16 marzo 2016

Tecno-finanza contro la slow growth age

La rivoluzione informatica applicata alla finanza può avere un impatto nel processo di incremento della velocità di circolazione della moneta. La possibilità di realizzare pagamenti consente di avere un impatto sull’offerta di moneta. La velocità della circolazione della moneta può avere anche un impatto sull’andamento nominale dei prezzi attraverso. La tecnologia informatica applicata alla finanza ha un effetto diretto sull’inflazione. Esiste una relazione inversa tra la velocità della circolazione della moneta e l’offerta monetaria. Esiste una relazione diretta tra velocità della circolazione della moneta e il valore nominale aggregato delle transazioni.
La questione della regolamentazione. L’economia informatica sia attraverso l’analisi dei big data sia attraverso l’implementazione delle tecnologie peer to peer può incrementare gli effetti della velocità della circolazione della moneta. Gli enti regolatori possono intervenire nella gestione del sistema delle transazioni per assicurare il rispetto delle norme anche per gli enti nuovi nati nella cyber economy. E’ possibile migliorare la condizione anche del credito mediante l’utilizzo della cyber finance. La fattispecie giuridica nuova costituita dalle transazioni finanziarie con strumenti anche peer to peer deve trovare enti regolatori nuovi in grado di esercitare il controllo e la regolamentazione. La Banca Centrale è in grado di realizzare un controllo stringente sulle operazioni finanziarie e bancarie. I dati sul sistema bancario sono abbondanti. Tuttavia la direzione della Banca Centrale sembra essere orientata alla limitazione delle forme di creazione di istituzioni creditizie on line nuove.
Cyber institutional building. Internet è un dominio giuridico nuovo in grado di produrre occasioni di transazioni finanziarie. L’economia della rete produce valore. Tuttavia il valore prodotto dall’economia delle rete tende a permanere a livello potenziale con una trasposizione debole nell’economia reale. I vantaggi dell’economia di internet faticano a trovare manifestazione nei bilanci delle aziende, nel reddito delle persone fisiche e giuridiche. La trasposizione finanziaria è fondamentale per incrementare il valore del prodotto interno lordo realizzato attraverso l’economia di internet. I sistemi di pagamento peer to peer potrebbero incrementare il valore finanziario delle transazioni online attraverso l’indirizzamento delle risorse verso l’economia reale.

Il valore economico di internet per combattere la “Slow growth age”.  L’economia occidentale sembra essere entrata in una spirale di crescita economica bassa accompagnata da inflazione ridotta. Lo scenario costituito da crescita bassa e deflazione è realistico. L’economia può crescere attraverso la trasformazione della tecnologia in reddito. Le innovazioni tecnologiche produttive caratterizzanti le rivoluzioni tecnologiche consentono di incrementare il prodotto interno lordo mediante la trasformazione in reddito. La rivoluzione informatica ha prodotto miglioramenti nella produzione anche se tali innovazioni hanno avuto una trasposizione ridotta nel reddito. Il reddito è stato aumentato per un valore ridimensionato a seguito della rivoluzione informatica. La presenza di strutture economiche finanziarie in grado di realizzare una crescita della produttività possono consentire di incrementare il prodotto interno lordo. Il doppio problema costituito dalla crescita bassa e dalla ridotta inflazione può essere risolto attraverso la trasposizione delle innovazioni informatiche in reddito. La tecno-finanza può avere un ruolo fondamentale per realizzare politiche economiche in favore di una crescita sostenuta e dell’inflazione moderata. 

mercoledì 9 marzo 2016

Literacy for leadership


Un gruppo editoriale nuovo proprietario di La Stampa e de La Repubblica è nato. Il gruppo tende ad avere una posizione dominante nel mercato italiano. La fuoriuscita di FCA dal settore editoriale ha facilitato la creazione di un polo editoriale nuovo. FCA ha ceduto le partecipazioni anche in Rcs. Il mercato editoriale dei quotidiani italiani ha subito una contrazione a seguito della crisi finanziaria. Il numero di lettori è ridotto. Il numero di giornali venduti è calato. Il mercato dei quotidiani è regionalizzato. Gli abitanti del Mezzogiorno tendono ad avere una capacità di lettura di quotidiani e libri ridimensionata rispetto agli abitanti del Centro Nord. La relazione tra numero di lettori e tasso di crescita economica tende ad essere positiva. Il settore dei media necessita di processi di integrazione verticale e orizzontale. Le sfide nuove presenti nel mercato anche di internet consentono la diversificazione. La dipendenza politica delle imprese operanti nel settore della produzione industriale dei giornali riduce la probabilità di una gestione strategica del settore. Il quarto potere è in realtà un derivato del potere politico. Il processo di aggregazione potrebbe essere funzionale ad una nuova struttura dell’egemonia politica nazionale fondata su una visione verticistica nell’esercizio dell’attività di governo. L’Italia sembra orientata ad un periodo caratterizzato da stabilità di governo e partiti maggioritari. Il settore editoriale segue le dinamiche della governance politica con processi di concentrazione. La popolazione italiana potrebbe trarre un giovamento basso dai processi di integrazione del settore industriale della stampa. La stampa dovrebbe avere l’obbiettivo di partecipare alla formazione della popolazione volta ad incrementare il livello culturale, il numero dei lettori e a offrire anche strumenti per la formazione permanente. Una stampa concentrata sulle vicende politiche assume una dimensione elitaria. La stampa può perdere la capacità di incrementare il livello culturale della popolazione. L’età della diseguaglianza porta ad una stampa di potere lontana dalla popolazione. Modelli nuovi formativi appaiono nell’orizzonte internet in grado di produrre formazione e mobilitazione nella ricerca del bene comune a livello più alto.
Il numero di lettori. Il numero di lettori sembra essere diminuito a partire dal 1996 fino al 2015. L’Istat ha riportato i dati relativi all’andamento del numero dei lettori per classi di età tra il 1996 e il 2015. L’indice calcola le persone su un totale di 100 con più di 6 anni che hanno letto almeno un libro nel tempo libero bei 12 mesi precedenti l’intervista. Nella classe da 6 a 10 anni il numero di persone su 100 che hanno letto almeno un libro è cresciuto in confronto tra il 1996 e il 2015 dello 0,5% da 43,5% a 44%. La crisi economica ha avuto un impatto nella riduzione del numero delle persone che hanno letto almeno un libro nella coorte compresa tra i 6 e i 10 anni con una riduzione dal 46,8 per cento del 2007 al 44 per cento del 2015. Il numero delle persone comprese tra 11 e 14 anni aventi letto almeno un libro è diminuito del 6,7 per cento tra il 1996 e il 2014 con una riduzione del 7,4 % tra il 2007 e il 2015. Il numero di persone che hanno letto almeno un libro tra il 1996 e il 2015 compresi tra i 15 e i 17 anni è passato dal 56% al 53,9% con una riduzione pari al 2,1%; nella stessa coorte il numero di persone che hanno letto un libro ha subito una riduzione pari al 2,7% durante la crisi finanziaria tra il 2007 e il 2015. Il numero di persone che hanno letto almeno un libro nella categoria delle persone comprese tra i 18 e i 19 anni è passato dal 56,1% del 1996 al 50,3% del 2015 con una riduzione del 5,8%. Le persone che hanno letto almeno un libro nella coorte 18-19 anni hanno subito la crisi economica anche se la perdita di lettori tra il 2007 e il 2015 pari al 3,8 per cento è stata inferiore alla perdita di lettori nel periodo tra il 1998 e il 2015. Nella categoria delle persone aventi età compresa tra i 35 e i 44 anni il numero delle persone che hanno letto almeno un libro  passato dal 46,3 per cento del 1996 al 43,7 % del 2015 con una perdita pari al -2,6%. Nella medesima coorte il numero di lettori di almeno un libro è diminuito del 3,5% tra il 2007 e il 2015. Le categorie di persone comprese tra i 45-54 anni, 55-59 anni, 60-64 anni, 65-74 anni, e 75 e più anni hanno invece incrementato rispettivamente del 5,4%, del 12,5%, del 16,9%, 12,7%, 9,2%. La crescita del numero dei lettori nella popolazione aventi una superiore ai 45 anni individua la presenza di coorti con redditi elevati in grado di resistere anche alla crisi economica.
I dati della lettura dei quotidiani. Il dati Istat rappresentano il livello di lettura di giornali per classi di età nella popolazione italiana. Il numero di italiani tra 6-10 che leggono un giornale una volta ogni uno o due giorni è pari al 67,2%, ogni tre o quattro giorni è pari al 10,9%,  ogni 5-6 giorni pari al 5,5%, tutti i giorni pari al 16,4%. La percentuale di italiani compresi nella fascia di età 11-14 lettori di un quotidiano almeno una volta a settimana è pari a 14.5%. La percentuale di italiani compresi tra i 15 e i 17 anni che leggono un giornale una volta a settimana è pari al 24,1%; tra i 18-19 anni è pari al 33,2%; tra i20-24 pari al 41,2%; tra i 25-34 pari al 49,7%; tra i 35-44 pari a 51,4%; tra i 4554 pari a 56,1%; tra 55-59 pari a 59,5%; tra i 60-64 pari a 58,2%; tra i 60-64 pari a 58,2%, tra i 65 e i 74 pari al 57,4%, tra i 75 e più pari al 42,9%. All’interno di ciascuna coorte la percentuale di persone che leggono il giornale almeno una volta alla settimana cresce con l’età. Una possibile spiegazione potrebbe essere ricercata nella struttura gerontocratica del paese Italia. L’Italia pregiudica i giovani. Il racconto del paese narrato dai giornali è lontano dai giovani. Tuttavia è probabile che i giovani abbiano altri modi per accedere alla formazione della coscienza attraverso internet e i social media. I giornali sembrano arrancare rispetto ai processi di elaborazione delle informazioni realizzati attraverso i nuovi media dei social networks.
I lettori per regione. L’Istat riporta anche i dati relativi alla ripartizione delle persone di 6 anni e più che leggono quotidiani una volta a settimana. E’ possibile realizzare una classifica delle regioni e delle provincie autonome italiane in base alla percentuale dei lettori di quotidiani come percentuale della popolazione. La provincia di Bolzano è al primo posto per percentuale di persone lettrici di quotidiani almeno una volta a settimana con un valore pari a 71,1%. Il Trentino Alto Adige è al secondo posto con un valore pari al 67%. La provincia di Trento è al terzo posto con un valore pari a  63,1%. Seguono in ordine: Sardegna con il 61,5%, Valle d’Aosta con il 61,4%, Friuli Venezia Giulia con il 60,4%, Emilia Romagna con il 65,2%; Toscana con il 54,5%, Veneto 53,8%, Liguria 51,9%, Piemonte 51,1%, Lombardia con il 51,1%; Umbra con il 50,1%; Marche con il 48,9%; Lazio con il 44,1%; Abruzzo con il 42,4%; Molise con il 37,6%; Puglia con il 36,8%; Calabria con il 35,1%; Sicilia con il 35%; Campania con il 34,8%; Basilicata con il 31,7%. La classifica mette in evidenza la relazione positiva tra prodotto interno lordo e percentuale dei lettori di quotidiani almeno una volta a settimana nelle regioni italiane. La popolazione residente nelle regioni italiane aventi un livello reddituale alto tendono a leggere con percentuali elevate. La popolazione residente nel mezzogiorno ha una attitudine alla lettura dei giornali bassa.  La situazione del Mezzogiorno risulta aggravata in un confronto tra macro-aree. Il 56,6% della popolazione residente nel Nord-Est legge un quotidiano almeno una volta alla settimana. Il 51,2% della popolazione residente nel Nord-Ovest legge un quotidiano almeno una volta a settimana. Il 48,4% della popolazione residente nel centro Italia legge un quotidiano almeno una volta alla settimana. Il 41,6% della popolazione residente nelle Isole legge un quotidiano almeno una volta alla settimana. Il 36,1% della popolazione residente nel Sud Italia legge un quotidiano almeno una volta a settimana. E’ possibile ipotizzare anche una relazione inversa tra lettura dei giornali e partecipazione alle attività politiche, sociali, comunitarie ovvero ai processi di costruzione del capitale sociale. Il capitale sociale è fondamentale per il sostegno alla crescita economica. Il numero basso di lettori nelle regioni meridionali incrementa la distanza tra le istituzioni politiche e la cittadinanza con effetti regressivi agenti sulle popolazioni avente reddito basso. Sotto il profilo culturale la popolazione meridionale appare elitaria, gerarchia, polarizzata. Solo 4 persone su 10 nel mezzogiorno leggono i quotidiani una volta alla settimana e sono grado di seguire gli avvenimenti politici, sociali, culturali locali, nazionali ed internazionali. Il governo potrebbe realizzare delle politiche economiche volte ad incrementare la diffusione dei giornali nelle regioni aventi una percentuale di lettori inferiore al 50% della popolazione residente. La crescita della consapevolezza relativa alla condizione politica economica e sociale consente di incrementare la fiducia per le istituzioni politiche, economiche, comunitarie e sociali.

Il livelli di literacy. L’Istat ha classificato anche i livelli di literacy. La literacy riguarda la capacità di utilizzare le competenze di lettura per incrementare la partecipazione alla vita sociale, economica, civile e incrementare il potenziale. La literacy riguarda capacità cognitive applicate alla lettura di un testo e l’elaborazione per il conseguimento di obbiettivi individuali. Le competenze relative alla scrittura di un testo sono escluse dalla literacy. La valutazione dei livelli di literacy avviene attraverso la capacità degli adulti di comprendere le parole di un testo. La percentuale della popolazione avente un livello di literacy inferiore a livello 1 è pari al 13,8% contro la media dei paesi OCSE pari al 5,7%. La percentuale della popolazione italiana avente un livello di literacy inferiore al livello 1 è maggiore della media dei paesi OCSE. Il 20% della popolazione italiana ha un livello di literacy pari a 1 contro il 10,8% della popolazione dei paesi OCSE. Il 34,5% della popolazione italiana ha un livello di literacy pari a 2 contro il 28,4% della popolazione OCSE. Il 27,1 % della popolazione italiana ha un livello di literacy pari a 3 contro un livello dei paesi OCSE pasi al 39,3%. Il 4,5% della popolazione italiana ha un livello di literacy pari a 4 contro il 14,6% della popolazione OCSE. Lo 0% della popolazione italiana ha un livello di literacy pari a 5 contro l’1,2% della popolazione OCSE. La popolazione italiana ha un livello di literacy inferiore rispetto alla media dei paesi OCSE. Il dato dell’ISTAT è nazionale e omette la rappresentazione del livello di literacy per regioni. E’ legittimo immaginare un livello di literacy inferiore per i paesi del mezzogiorno italiano rispetto ai paesi del Nord Italia. Il livello di literacy basso in Italia rispetto ai paesi OCSE trova una spiegazione negli investimenti bassi nel settore dell’istruzione, della ricerca, della cultura. I livelli di literacy sono bassi anche in considerazione delle classi di età, del livello di istruzione e dell’impegno in attività formative. Il punteggio in termini di literacy della popolazione compresa tra i 16 e i 24 anni in Italia è pari a 261 contro i 280 della media OCSE. La popolazione tra i 23-34 anni ha un livello di literacy pari a 260 contro i 284 punti della popolazione OCSE.  La popolazione tra i 35 e i 44 anni ha un livello di literacy pari a 253 contro un punteggio di 279 della popolazione OCSE. La popolazione tra i 45 e i 54 anni ha un livello di literacy pari a 249 contro un livello medio della popolazione OCSE equivalente a 268. Il livello di literacy della popolazione con una età compresa tra i 55 e i 65 anni è pari a 233 contro un livello medio OCSE pari a 255. I livelli di literacy degli italiani sono bassi rispetto ai livelli medi dell’OCSE anche a parità di livelli di istruzione e di impegni occupazionali o in attività di studio.

Leadership e literacy. I dati associano il reddito al livello di lettura di quotidiani e all’acquisizione di livelli di literacy. Il nord-est ed il nord ovest sono agevolati nel livello di leadership e literacy grazie allo stock di investimenti accumulati. Il Sud Italia ha un livello basso di accesso ai quotidiani, con un livello di literacy basso e una cultura della leadership ridotta. La politica economica della cultura può portare alla crescita degli incentivi volti alla crescita del numero di meridionali lettori di quotidiani con un livello di literacy crescente. Tuttavia in mancanza di una politica economica della cultura centralizzata è auspicabile una attività di investimento nella lettura di quotidiani e libri dal basso. Le organizzazioni del terzo settore insieme con le istituzioni politiche possono creare dei programmi per incrementare il numero dei lettori. La probabilità di crescere nella dotazione del capitale umano necessario per procedere alla realizzazione di una crescita economica reale risiede nell’incremento del livello culturale dei cittadini. Per incrementare il livello di literacy è possibile anche incrementare la percentuale della popolazione avente un titolo di studio universitario. Il sistema costituito da istruzione, cultura, quotidiani e agenzie culturali pubbliche e private può operare come uno shock cognitivo per incrementare il livello di consapevolezza degli italiani anche rispetto alla media dei paesi OCSE. La literacy consente di ottimizzare le informazioni ottenute da un testo come strumento decisionale individuale. Avere una struttura interpretativa, comprendere le informazioni e decidere sulla base di funzioni di utilità individuali aventi impatto collettivo può consentire la formazione di un processo di leadership da esercitare nelle organizzazioni private, politiche, comuni e civili. 






mercoledì 2 marzo 2016

Welfare State per immigrati e residenti









Il Regno Unito ha realizzato una politica dell’immigrazione fondata sul reddito. La proposta del governo britannico prevede di realizzare una politica in grado di discriminare le persone in base al reddito conseguito. La questione dell’immigrazione è molto sentita nell’Unione Europea. Gli europei sono preoccupati della capacità degli immigrati di lavorare con efficienza a redditi bassi. I gruppi politici pongono anche il problema dell’integrazione culturale. Il modello del multiculturalismo sembra essere fallito e sostituito da una forma di interculturalismo. Il rischio del sincretismo culturale rimane alto. La questione degli immigrati deve essere considerata anche con riferimento ai tassi di crescita della popolazione europea. I policy makers devono anche prevedere la possibilità di incrementare la qualità del capitale umano immigrato. La compressione dei salari accettata dagli immigrati può portare ad una riduzione della occupazione. L’effetto combinato della disoccupazione tecnologica e della disoccupazione da competizione salariale può pregiudicare il lavoro di molti giovani. Eppure l’Europa ha bisogno di una politica dell’immgrazione coniugata insieme con la politica della sicurezza e della difesa dei salari. La riduzione del tasso di crescita della popolazione, l’aging, possono portare ad un sistema pensionistico e tributario da sostenere grazie anche all’apporto degli immigrati. I politici e i movimenti politici contrati all’immigrazione devono prevedere politiche economiche a sostegno della famiglia, dei figli, fondati sulla crescita del reddito dei lavoratori, sulla crescita delle tutele anche pensionistiche, e sulla riorganizzazione del welfare state. Tagli alla spesa pubblica e politiche contro l’immigrazione sono in contraddizione. Il gioco a somma zero tra tagli a spesa pubblica e l’antimmigrazione genera una classe politica distruttiva in grado di cavalcare gli umori della popolazione senza avere possibilità di governare.
I dati sull’immigrazione dell’Eurostat. I dati dell’Eurostat con riferimento al 2013 sono indicativi del fenomeno dell’immigrazione. Gli immigrati giunti in Europa nel 2013 sono stati 3.635.750. E’ possibile realizzare una classifica dei paesi con maggiore accoglienza di immigrati. La Germania è al primo posto per numero di immigrati accolti nel 2013 con un valore pari a 692.713 equivalente al 19,05% del totale degli immigrati giunti in Europa. Il Regno Unito è al secondo posto per numero di immigrati accolti con un valore pari a 526.046 unità pari al 14,46% del totale degli immigrati arrivati in Europa. La Francia è al terzo posto per numero di immigrati accolti con un valore pari a 332.640 equivalente al 9,1%. L’Italia è al quarto posto per numero di immigrati accolti in Europa con un valore pari a 307.454 equivalente all’8,4% degli immigrati totali. Germania, Regno Unito, Francia e Italia nel 2013 hanno accolto il 51% degli immigrati.
Gli immigrati e la popolazione residente. Gli immigrati hanno un impatto sulla popolazione residente. E’ possibile realizzare una classifica dei paesi accoglienti immigrati come percentuale della popolazione residente. I dati sono Eurostat 2013. Il Lussemburgo è al primo posto in Europa con una percentuale di immigrati accolti pari al 3,9% della popolazione residente. Malta è al secondo posto con un numero di immigrati accolti pari al 2% della popolazione residente. L’Islanda è al terzo posto con numero di immigrati accolti pari all’1,99% della popolazione residente. La Germania è all’11 posto con un numero di immigrati accolti pari allo 0,84% della popolazione residente. Il Regno Unito è al 12 posto con un numero di immigrati accolti pari allo 0,82% della popolazione residente. L’Italia è al ventunesimo posto con una percentuale di immigrati accolti pari allo 0,51% della popolazione residente. La Francia è al ventiduesimo posto con una percentuale di immigrati accolti pari allo 0,5% della popolazione residente.

Tassi di crescita della popolazione. Il tasso di crescita della popolazione di Germania, Regno Unito, Francia e Italia è basso. Il tasso di crescita della popolazione in Germania tra il 2007 e  2011 è stato negativo ovvero pari al -0,14% nel 2007, -0,11% nel 2008, -0,26% nel 2009, -0,24% nel 2010, -0,06% nel 2012. Il tasso di crescita della popolazione in Germania è stato positivo nel 2012 con valore pari allo 0,11% e nel 2013 con un valore pari a 0,21%. Il tasso di crescita della popolazione in Germania è stato negativo nel 2014 con un valore pari a -0,152. Nel 2015 il tasso di crescita della popolazione in Germani è stato positivo pari allo 0,53%. La media del tasso di crescita della popolazione in Germania tra il 2007 e il 2015 è negativa ovvero pari a -0,16%. Il tasso di crescita della popolazione in Francia è stato decrescente tra il 2007 e il 2014. Nel 2007 il tasso di crescita della popolazione in Francia è stato pari allo 0,65%, nel 2008 pari allo 0,56%, nel 2009 pari allo 0,53%, nel 2010 pari allo 0,47%, nel 2011 pari allo 0,49%, nel 2012 pari allo 0,45%, nel 2013 pari allo 0,49%, nel 2014 pari allo 0,44%, nel 2015 pari allo 0,79%. Il tasso di crescita medio della popolazione in Francia è stato tra il 2007 e il 2015 è stato pari a 0,54%. Il tasso di crescita della popolazione in Italia è stato positivo tra il 2007 e il 2014. Il tasso di crescita della popolazione in Italia è stato pari allo 0,2% nel 2007, allo 0,7 nel 2008, allo 0,5 nel 2009, allo 0,3% nel 2010, allo 0,29% nel 2011, allo 0,04 nel 2012, allo 0,48 nel 2013, all’1,83% nel 2014, allo 0,02% nel 2015.  Il tasso di crescita della popolazione del Regno Unito è stato positivo tra il 2007 e il 2014. Il tasso di crescita della popolazione del Regno Unito è stata pari allo 0,7% nel 2007, allo 0,81% nel 2008, allo 0,7% nel 2009, allo 0,7% nel 2010, allo 0,81% nel 2011, allo 0,75% nel 2012, allo 0,64% nel 2013, allo 0,69% nel 2014, allo 0,8% nel 2015.

Politiche economiche dell’immigrazione. I dati riportati mostrano la presenza di una correlazione positiva tra numero di immigrati accolti e andamento della popolazione dei paesi accoglienti. Gli immigrati giungono nei paesi aventi tassi di crescita della popolazione ridotti. Il tasso di crescita della popolazione medio della Germania tra il 2007 e il 2015 è negativo. Il dibattito politico spettacolarizza gli immigrati. I partiti di destra sono in genere contrari all’immigrazione e favorevoli a tagli della spesa pubblica. La politica contro l’immigrazione può essere sostenuta attraverso un aumento della spesa pubblica volta ad incrementare il reddito della popolazione anche con sussidi volti al rafforzamento economico e finanziario delle famiglie. La riduzione della spesa pubblica nel welfare state riduce la probabilità di rinforzare le famiglie residenti e incrementa la dipendenza demografica dagli immigrati. Gli immigrati possono incrementare la popolazione nei paesi aventi andamenti di crescita demografica ridotti. Una politica volta ad incrementare la popolazione dovrebbe essere condotta attraverso il rafforzamento della spesa pubblica per il welfare state accompagnata da un controllo dell’immigrazione. Gli immigrati pongono delle sfide anche culturali ai paesi accoglienti. Una politica dell’immigrazione vincente offre servizi ed anche una soluzione culturale fondata sul diritto e sulle regole comun per la creazione di una struttura demografica in grado di contenere le contraddizioni eventuali tra immigrati e residenti in un contesto dinamico volto al raggiungimento degli obbiettivi nazionali ed europei.



RANK
GEO/TIME
2013
Percentuale
1
Germany (until 1990 former territory of the FRG)
692.713
19,05282
2
United Kingdom
526.046
14,46871
3
France
332.640
9,149144
4
Italy
307.454
8,456412
5
Spain
280.772
7,722533
6
Poland
220.311
6,059575
7
Switzerland
160.157
4,405061
8
Romania
153.646
4,225978
9
Netherlands
129.428
3,559871
10
Belgium
118.256
3,252589
11
Sweden
115.845
3,186275
12
Austria
101.866
2,801788
13
Norway
68.313
1,878925
14
Denmark
60.312
1,65886
15
Ireland
59.294
1,63086
16
Greece
57.946
1,593784
17
Hungary
38.968
1,071801
18
Finland
31.941
0,878526
19
Czech Republic
30.124
0,82855
20
Lithuania
22.011
0,605405
21
Luxembourg
21.098
0,580293
22
Bulgaria
18.570
0,510761
23
Portugal
17.554
0,482816
24
Slovenia
13.871
0,381517
25
Cyprus
13.149
0,361659
26
Croatia
10.378
0,285443
27
Malta
8.428
0,231809
28
Latvia
8.299
0,228261
29
Iceland
6.406
0,176195
30
Slovakia
5.149
0,141621
31
Estonia
4.109
0,113017
32
Liechtenstein
696
0,019143
Totale
3.635.750

                                                                                                  
RANK
PAESE
PERCENTUALE
1
Luxembourg
3,929
2
Malta
2
3
Iceland
1,99
4
Liechtenstein
1,889
5
Cyprus
1,519
6
Ireland
1,292
7
Sweden
1,212
8
Austria
1,205
9
Denmark
1,076
10
Belgium
1,059
11
Germany (until 1990 former territory of the FRG)
0,845
12
United Kingdom
0,823
13
Netherlands
0,771
14
Romania
0,767
15
Lithuania
0,741
16
Slovenia
0,674
17
Spain
0,601
18
Finland
0,589
19
Poland
0,579
20
Greece
0,527
21
Italy
0,515
22
France
0,507
23
Latvia
0,41
24
Hungary
0,393
25
Estonia
0,311
26
Czech Republic
0,286
27
Bulgaria
0,255
28
Croatia
0,243
29
Portugal
0,167
30
Slovakia
0,095