mercoledì 4 giugno 2014

Politica economica e mercati finanziari: il caso dell’abenomics

«In una intervista prima della partenza, Honda - coetaneo di Abe e suo amico da trent'anni - lo sintetizza così: la crescita economica è prioritaria anche e soprattutto per i Paesi ad alto debito[…]. «È fondamentale evitare la deflazione e il prendere piede di aspettative di deflazione, perché poi è molto difficile uscirne. Noi ci abbiamo messo 15 anni […]Quanto al secondo pilastro dell'Abenomics, la «flessibilità fiscale» (non «gli stimoli fiscali» solamente, come alcuni hanno semplificato), Honda ha perso la battaglia con il ministero delle Finanze […] Per i tempi della decisione finale sull'ulteriore rialzo al 10% dell'Iva a partire dall'ottobre 2015 - già prevista sotto il precedente governo -Honda lascia capire che preferirebbe attendere il marzo 2015, ma si rassegna al diktat delle Finanze, che chiedono una scelta entro la fine di quest'anno per preparare il budget di previsione. […] Honda ammette poi che l'Abenomics è al momento cruciale della sua "terza freccia": le riforme di sistema. «Tre sono i punti fondamentali: deregulation, riforma fiscale e rafforzamento della forza-lavoro». Abe ha dato l'altro ieri l'ok a una riduzione dal 2015 della corporate tax, che però sarà inferiore a quanto desiderato dalla Keidanren (la Condindustria), che vorrebbe un taglio secco da oltre il 35% al 25%. ». (Le tre freccedell'Abenomics versione realista, di Stefano Carrer, Il Sole 24 ore, 05 giugno2014)

L’abenomics è stata proposta come una politica economica in grado di rilanciare la crescita economica.
Tuttavia la crescita economica è nella disponibilità dell’economia nel suo complesso più che di un governo.
E’ necessario considerare che in un paese ad altissimo debito come il Giappone il rapporto decifit/pil è molto alto.
Tuttavia la reazione del Governo giapponese è interessante per il dinamismo che riesce a porre nell’economia. Puntare sulla crescita, cercare di ridurre la tassazione, realizzare delle riforme di semplificazione del sistema del lavoro sono elementi fondamentali per il rilancio dell’economia.
E’necessario considerare che l’economia giapponese è stata colpita da una crisi negli anni 90 che ha prodotto effetti di lungo periodo.
Uno degli elementi da considerare nell’economia è il rapporto tra scelte economiche autonome ed elementi di eterodizione dell’attività economica.
I mercati finanziari tendono ad eterodirigere l’economia. Tuttavia per un paese governare l’andamento del mercato finanziario può essere una attività molto costosa soprattutto in presenza di una elevata tendenza all’internazionalizzazione dell’economia.
In questo senso il rapporto tra sovranità nazionale e internazionalizzazione può essere un elemento di difficoltà per l’implementazione delle politiche economiche.
Una attività internazionale di coordinamento potrebbe essere fondamentale per conseguire l’obbiettivo di una maggiore efficacia del rapporto tra politiche economiche e andamento dei mercati finanziari.
La ripresa dell’operatività di istituzioni internazionali di coordinamento può ridurre la capacità dei mercati finanziari di ingerirsi nell’economia interna dei paesi con effetti deleteri riducendo la propensione al rischio da parte degli imprenditori, degli investitori, e deprimendo la condizione dei consumatori.
La globalizzazione ha comportato la crescita di una nuova fase di liberalizzazione dei mercati. Una fase alla quale può seguire una ripresa della cooperazione internazionale volta a dare maggiore incidenza alle politiche economiche dei singoli paesi.



Il governo dell’economia non spetta solo al Governo

« È tempo di dare un freno alla garrula euforia che sembra essersi diffusa nel Paese - non da parte del premier - dopo il «40%» conquistato da Matteo Renzi alle elezioni europee. […] Non sovvertono certamente il dato di una caduta di produzione in Italia del 25% dal 2000 ad oggi contro un incremento del 36% nel resto del mondo. […]I dati sulla produzione industriale di maggio parlano di un modestissimo +0,2% mese su mese.[…]Per non parlare dell'andamento dell'occupazione, che ha registrato ad aprile la perdita di altri 68mila posti di lavoro. […]L'andamento del prodotto è poco più che piatto e l'obiettivo pur modesto del +0,8% a fine anno fissato dal governo è già irrealistico.[…] Soprattutto se ci aggiungi una pressione fiscale sulle imprese che è del 50% superiore alla media europea, come ha denunciato ancora ieri la Corte dei conti, un costo del lavoro che continua a crescere del tutto slegato dalla produttività, un settore sommerso dell'economia che viaggia al 21%. Eppoi il nodo della legalità, che diventa sempre più un allarme nazionale. »(  La dura realtà e il lavoro tutto da fare diFabrizio Forquet, Il sole 24 ore,05 giugno 2014)

Nell’articolo si mettono in evidenza molti problemi del paese. Tuttavia vi sono alcuni punti sui quali il Governo può intervenire come per esempio le tasse, il cuneo fiscale e la legalità. Altre questioni come per esempio la riduzione della produzione industriale e l’andamento del prodotto interno lordo sono variabili nella disponibilità del  sistema industriale più che del sistema politico.  Il governo dell’economia infatti si manifesta come una variabile complessa costituita da interventi governativi ed interventi realizzati da gruppi e forze industriali.
Se infatti le tasse possono essere ridotte dal Governo, insieme con il cuneo fiscale sul lavoro e se il Governo può spronare ad un maggiore controllo di legalità nello stesso tempo sono le imprese che devono investire di più e cercare di realizzare maggiori attività produttive di valore aggiunto.
Il disimpegno da parte delle imprese verso la produzione nazionale, realizzato sia con la scelta della delocalizzazione che con la scelta della finanziarizzazione dei profitti delle imprese, insieme con la ricerca di assetti proprietari volti al potenziamento finanziario più che industriale hanno ridotto la capacità competitiva del capitalismo italiano.
La scarsa cultura economica d’impresa e la tendenza da parte delle imprese ad essere assistite sotto il punto di vista finanziario sia dai finanziamenti pubblici che da relazioni di favore con gli istituti di credito hanno ridotto la capacità competitiva delle imprese italiane.
Il difficile passaggio della crisi si è manifestato anche in corrispondenza di una fase di passaggio delle imprese familiari a generazioni più giovani. Un passaggio di per sé difficile, reso più complicato dalla congiuntura economica.
La difficoltà di resistere all’invasione di capitali stranieri in Italia ha complicato ancora la situazione delle imprese italiane.
Inoltre la difficoltà a esportare oltre l’area europea rende la situazione dell’industria italiana difficile sotto il punto di vista internazionale.
Il Governo può agire con tasse, spesa pubblica e regolamentazione per indirizzare una fase espansiva dell’economia. Tuttavia sono sempre le imprese,i gruppi industriali a dover scegliere di realizzare dei nuovi investimenti produttivi in Italia, di rilanciare la produzione di valore aggiunto, di scegliere la via di una internazionalizzazione oltre i confini dell’Unione Europea.
In questo senso puntare su progetti nuovi, su nuovi brevetti, può essere fondamentale. Esiste un certo dinamismo con riferimento al fenomeno delle start up, della partecipazione diffusa alla produzione. Tuttavia si tratta molto spesso di iniziative discontinue. Gli imprenditori operanti nel settore industriale-manifatturiero potrebbero cercare di selezionare meglio questi progetti per incrementare il livello di innovazione delle proprie industria, di fatto esternalizzando una fase di ricerca e sviluppo e premiando quelle innovazioni in grado di innestarsi meglio con la struttura organizzativa aziendale.
Gli economisti neoclassici dicono che l’impresa è un fascio di contratti. Per realizzare contratti servono relazioni. Le relazioni si fondano sulla fiducia. E in questo senso il sistema industriale può fare molto per migliorare la capacità di concludere contratti e di introdurre nuove risorse nella produzione.


Il problema della scelta tra riforme sociali e riforme istituzionali


« […]Quella crisi che lascia alla Ue dopo 5 anni (2009-13) una disoccupazione totale salita al 10,8%, con quella giovanile salita al 23,4%, con un calo del Pil di 1,2 punti percentuali (p.p.) e con la situazione che nella Uem è anche peggiore. Questo mentre negli Usa il Pil è cresciuto di 6,2 p.p., la disoccupazione è scesa al 7,4% e quella giovanile al 15,5%. Le previsioni per il 2014-2015 indicano per gli Usa un Pil in aumento di 6,2 p.p. e una disoccupazione in calo al 5,9% mentre nella Ue il Pil è previsto crescere di soli 3,6 p.p. e la disoccupazione scendere solo al 10,1%. La differenza è grande e, malgrado non sia imputabile alla Commissione, la stessa ha pur sempre qualche responsabilità. […] Quattro almeno sono infatti le direttrici che Barroso delinea per la crescita e l'occupazione. Quella sul lavoro […] sugli investimenti pubblici e privati, […]sui finanziamenti […],sul completamento del mercato interno e sulla apertura dei mercati nazionali […]. (L'Europa scelga bene il leader della ripresa di Alberto Quadrio Curzio, Il Sole 24 ore 04 giugno 2014) .»

L’area euro presenta maggiori difficoltà economica rispetto all’economia statunitense.
La migliore condizione economica statunitense rispetto a quella europea deriva dal maggiore coordinamento tra politiche economiche monetarie e politiche economiche fiscali realizzatosi negli USA rispetto all’UE.
La possibilità da parte della FED di realizzare il quantitative easing ha incrementato la probabilità per l’economia statunitense di uscire prima dalla crisi economica.
Una possibilità preclusa alla BCE.
Il risultato del mancato coordinamento tra politiche monetarie e politiche fiscali nell’UE ha comportato una riduzione della capacità dell’economia europea di riprendersi rispetto all’andamento dell’economia statunitense.
La difficoltà dell’Unione Europea riguarda sia le riforme istituzionali comunitarie che le politiche economiche da realizzare.
Una delle difficoltà maggiori dell’Unione Europea è nella definizione di un piano per la realizzazione delle riforme delle istituzioni comunitarie e delle politiche economiche da realizzare nei singoli paesi membri.
Una delle domande che si pongono è: come può una unione europea non legittimata nel suo assetto istituzionale imporre agli stati membri delle politiche economiche espansive ?
Per risolvere questo problema è necessario considerare la necessità di condurre insieme un processo riformatore delle istituzioni comunitarie con le politiche economiche espansive.

La legislatura comunitaria deve quindi essere costituente. Per realizzare le politiche economiche espansive nei paesi membri è necessario dotare le istituzioni comunitarie di un a nuova legittimazione costituzionale.
Istituzioni comunitarie dotate di una nuova legittimazione costituzionale posso procedere a realizzare delle politiche economiche espansive nei paesi membri.
Soltanto in questo modo le soluzioni note al problema della ripresa economica possono essere implementate nel sistema economico europeo.
Occorre quindi superare la contrapposizione tra riforme delle istituzioni comunitarie e politiche economiche espansive.
Realizzare insieme le riforme istituzionali comunitarie insieme con le politiche economiche espansive significa dare maggiore forza alla possibilità di introdurre dei principi fondamentali nella “costituzione materiale” dell’Unione Europea tali da poter essere un riferimento per le politiche economiche espansive da realizzare negli stati membri.

Non basta quindi una UE politica. Ci vuole una UE costituente.