mercoledì 23 aprile 2014

A new institutional building

« Le preoccupazioni per lo state capture non sono affatto una novità. In molti paesi gli interessi speciali continuano a mantenere un'indebita ed esorbitante influenza sui legislatori, mentre gli enti di regolamentazione sono sempre propensi a vedere il mondo con gli occhi delle persone sulle cui attività dovrebbero esercitare il controllo. […] Negli ultimi decenni, le attività finanziarie sono cresciute in maniera spropositata rispetto a qualsiasi altro indice dell'attività economica  […]Dagli inizi degli anni Ottanta si era verificata infatti una forma di "cattura cognitiva", e i policymaker si sono convinti che innovazione e deregulation non potevano che migliorare il funzionamento sia dell'intermediazione finanziaria sia dell'economia nel suo complesso. […]Oltretutto, erogare ingenti sussidi impliciti a imprese che sono troppo grandi per fallire non dovrebbe essere una politica praticabile, in quanto incoraggia queste imprese ad assumersi un rischio eccessivo […]Di conseguenza, in Germania e in Francia (come in Giappone) le autorità hanno continuato a opporsi agli aumenti dei requisiti di capitale, nonostante l'ampio consenso sul fatto che farlo sarebbe una componente fondamentale di una ri-regolamentazione efficace. » ( Il futuro dello Statocatturato, Simon Johnson, Il sole24 ore, 23 aprile 2014)

Nel seguente articolo si mette in evidenza come lo stato sia stato catturato da un processo cognitivo a difesa della deregolamentazione dei mercati finanziari e del sistema bancario. Lo Stato, i suoi rappresentati politici e i suoi funzionari-burocrati,  sarebbe catturato da tale jizz cognitivo e incapaci di pensare al benessere comune. Gli interessi delle grandi banche e dei mercati finanziari sarebbero coincidenti con gli interessi dello Stato e della collettività. “What is good for banks and financial markets is good for US” si potrebbe dire parafrasando un celebre motto dell’industrialismo fordista. Tuttavia è necessario considerare il significato della “finanziarizzazione” dell’economia nella globalizzazione. La crescita delle attività finanziarie riflette l’accesso di molti lavoratori al reddito, ovvero al consumo e al risparmio, nel corso della “golden age”. SI tratta di  un fatto rilevante. Per quanto infatti sia interessante investire nella globalizzazione è pure necessario sottolineare che il risparmio di 500 milioni di persone nel mondo occidentale ( Europa + Stati Uniti) costituisce una riserva importante per il sistema bancario europeo e statunitense. Il risparmio degli europei e degli statunitensi è infatti un risparmio in moneta forte, laddove il risparmio realizzabile da altri consumatori in altre aree geografiche ha un valore monetario molto inferiore. Inoltre la riduzione del reddito delle persone in Europa e Stati Uniti riduce la possibilità delle imprese di realizzare una sorta di “ free riding” tra investimento produttivo nei paesi a basso costo di impianto e vendita dei beni in moneta forte nei paesi occidentali. Il sistema bancario e finanziario europeo e occidentale ha un pilastro fondamentale  nel reddito dei lavoratori, nelle pensioni, nel risparmio dei cittadini, nelle assicurazioni che i cittadini sono in grado di sottoscrivere. La riduzione del numero di persone che possono accedere a questo mercato interno può costituire una forma di rischio sistemico molto forte per le banche e i mercati finanziari. Le banche e i mercati finanziari perdono autonomia rispetto alla banca centrale all’aumentare del numero di persone a minore reddito e risparmio.
Le politiche a favore della crescita delle riserve bancarie e della regolamentazione hanno un effetto anticiclico. Tuttavia gravano sui più deboli. Il credi crunch è una misura recessiva. L’aumento delle riserve bancarie aumenta la sostenibilità del sistema bancario e finanziario in modo meno che proporzionale rispetto all’aumento del reddito delle persone e del risparmio. Il vero collaterale di una politica economica e finanziaria avente ad oggetto il tema della sostenibilità è la riduzione del tasso di disoccupazione e la regolamentazione dei mercati speculativi.
Se infatti la crescita delle riserve bancarie può essere recessiva, la regolamentazione dei mercati finanziari nei periodi di crisi economica può essere molto positiva perché riduce il rischio che le risorse  piuttosto che investite nell’economia reale siano ancora utilizzate per ottenere redditi dalla speculazione.
Inoltre la regolamentazione finanziaria può essere oggetto di una scelta a carattere politico laddove la crescita delle riserve bancarie è demandata alle autorità di autoregolamentazione.
Tuttavia è necessario anche considerare la possibilità di strade nuove per dare nuovo slancio all’economia,soprattutto nel mondo occidentale. E’ necessario per i cittadini europei e statunitensi riappropriarsi di una capacità di fondare nuove istituzioni del mercato e realizzare nuove organizzazioni a fondamento istituzionale tali da poter realizzare una nuova fase di diritti e crescita. Temi come l’acquisto di una abitazione, l’ottenimento di risorse finanziarie necessarie per far fronte al pagamento di spese fondamentali, piccole risorse finanziare da destinare a progetti imprenditoriali, devono poter essere condivise a mezzo di nuove organizzazioni a fondamento associativo di economia civile tali da superare i problemi posti dalla crisi del sistema bancario e finanziario. Una nuova fase di institutional building può essere fondamentale per rompere la cattura cognitiva e acquisire libertà economica.


martedì 22 aprile 2014

"You are my euro" (par.)


« «I prodotti tedeschi non si vendono, si comprano. Per questo sono largamente anelastici ai tassi di cambio» ricordava tempo fa un grande imprenditore europeo. Quindi un euro che batte il dollaro in un rapporto di quasi 1,40 non impressiona nessuno a Berlino. Dove anzi ci si rallegra perché si ha la piena consapevolezza che, se non avesse la zavorra del Sud - in questo caso provvidenziale - da perfetta fotocopia del vecchio marco, l'euro schizzerebbe ancora più in alto, verso livelli che alla lunga potrebbero diventare insostenibili perfino per la competitiva economia tedesca.[…] Se i patti di stabilità sottoscritti vanno mantenuti, se conti sani e riforme sono prima di tutto nell'interesse nazionale dei Paesi membri più fragili, un rapporto di cambio ragionevole con il dollaro in un'Eurozona che finora è cresciuta puntando essenzialmente sull'export non è una variabile che si possa ignorare. Soprattutto in questa difficile fase di transizione, si spera, verso una stabilità economica più solida e duratura. (Fermare il super euro per «riunire» l'Eurozona, Adriana Cerretelli, 22 aprile 2014, Il Sole 24 ore) »

In questo articolo si propone una discussione circa il significato dell’Euro. E si mette in relazione il valore dell’euro con quello del dollaro statunitense. E’ necessario considerare l’impossibilità di un paragone tra le politiche economiche monetarie e fiscali dell’euro e quelle del dollaro. Mentre il dollaro è fondato su politiche monetari e fiscali unitarie esercitate le prime dalla FED  e le seconde dal Governo degli Stati Uniti, in Europa solo le politiche monetarie sono unitarie, esercitate dalla BCE, mentre le politiche fiscali sono molteplici. Non è pertanto possibile paragonare l’euro al dollaro sotto il punto di vista della politica economica. Tuttavia si possono fare dei progetti di politica economica costituzionale volti all’instaurazione di un governo politico dell’UE. Il governo della politica economica fiscale dell’UE dovrebbe essere rivolto alla introduzione di politiche economiche fiscali in grado di dare unitarietà al progetto europeo. In modo particolare l’indicazione di politiche economiche fiscali in grado di “contrapporsi”  alle politiche economiche monetarie della BCE.  Una politica economica fiscale  in grado di affrontare le questioni della disoccupazione, dell’immigrazione, del prelievo fiscale, del risparmio,  del consumo, e della condizione dell’istruzione e della sanità in tutta Europa. L’esistenza di un governo della politica fiscale europea può dare maggiore rilievo alle regioni d’Europa a mezzo del coordinamento tra aree differenti. La presenza di un processo democratico in grado di costituire un meccanismo di selezione del governo della politica economica fiscale europea è fondamentale per garantire la rappresentatività delle varie forze politiche.
Può sembrare difficile per una Europa costituita da 27 popoli, 27 lingue e 27 tradizioni nazionali trovare un elemento in comune nella costituzione di un governo politico in grado di esercitare una politica economica fiscale. Tuttavia la presenza di un governo in grado di esercitare una politica economica fiscale, insieme con la presenza di un parlamento e di un potere giudiziario europeo, possono insieme delineare un contrappeso alla centralità dei mercati finanziari e del mercato bancario. Le disuguaglianze economiche sono molto forti nell’Europa dell’Euro.  Le disuguaglianze economiche potrebbero crescere nella zona dell’Euro. Il periodo economico post-crisi potrebbe essere caratterizzato dalla ripresa della disuguaglianza.  Per combattere la disuguaglianza economica la politica economica fiscale potrebbe essere una buona soluzione soprattutto se le economie a maggiore reddito mostrano di caratterizzarsi per avidità ed elitismo.



sabato 19 aprile 2014

La produzione di capitale nelle economie emergenti


« Berkeley – Negli ultimi mesi le economie dei mercati emergenti hanno passato dei brutti momenti. Nel 2013 hanno visto diminuire i flussi netti di capitale di 122 miliardi di dollari ovvero del 9,6 per cento l'anno e hanno registrato un'altra picchiata nei primi due mesi del 2014. Cosa sta provocando questa perdita e quanto durerà? Gli investitori globali sono meno inclini al rischio davanti alla prospettiva di una stretta monetaria in Europa e negli Stati Uniti e ai timori per il rallentamento della crescita cinese e le sue ripercussioni negative sulla domanda globale e sui prezzi delle materie prime. Fra il 2002 e il 2007, e ancora dopo la crisi finanziaria globale del 2008-2009, i flussi di capitale verso le economie emergenti hanno registrato un'impennata con gli investitori che cercavano rendimenti quando i Paesi sviluppati vivevano un rallentamento della crescita e una recessione, i tassi di interesse erano bassi e la liquidità abbondava. Di fronte a una maggiore attenzione al rischio e a perdite impreviste sui mercati emergenti, gli investitori sono diventati più selettivi e hanno cominciato a differenziare tra Paesi e settori. Tuttavia, sul lungo periodo, lo scenario per gli investimenti nei mercati emergenti, in particolare quelli con i fondamentali macroeconomici più forti, un clima politico stabile e una classe media in espansione, è promettente. L'attuale ondata di industrializzazione e urbanizzazione, combinata a una crescita di produttività superiore dovuta alla spostamento delle risorse verso attività a maggiore produttività, non è ancora finita. » (Umori e sensibilità verso i mercati emergenti, Il Sole 24 ore, diLaura Tyson18 aprile 2014)

Nell’articolo citato si fa riferimento all’afflusso e al deflusso di capitali  nelle economie emergenti. Gli investimenti diretti esteri hanno un impatto positivo sulla crescita  economica dei paesi emergenti. Tuttavia la possibilità da parte dei paesi emergenti di realizzare una crescita economia sostenuta dipende dalla capacità di applicare una politica economica della crescita  endogena. Se i paesi emergenti sono in grado di realizzare da sé una crescita economica attraverso l’accumulazione, l’industrializzazione, la crescita della produzione e delle esportazioni, allora la crescita economica delle economie ergenti sarà maggiore di quello previsto. Tuttavia per quanto sia importante  per un paese emergente ottenere degli investimenti diretti esteri nell’economia reale, soprattutto quando si realizzano in termini di impianti e infrastrutture, è anche necessario porre in considerazione l’effetto ultra recessivo della riduzione degli investimenti diretti esteri nell’economia dei paesi emergenti. Il punto fondamentale per segnare un discrimine nell’ammontare degli investimenti diretti esteri è l’azione degli investimenti diretti esteri sulle aspettative di investimento dei paesi emergenti. Se cioè i paesi emergenti sviluppano delle aspettative di carattere statico circa gli investimenti diretti esteri allora il rischio che gli investimenti diretti esteri possano provocare degli effetti negativi sull’economia è molto forte. In modo particolare gli investimenti diretti esteri dovrebbero essere pianificati e controllati dai governi avendo attenzioni per il loro andamento. Il rischio più grande degli investimenti diretti esteri per la crescita economica di un paese emergente è nella trasformazione dell’economia in una economia guidata dall’esterno, nel ritorno all’esogeneità. L’esogeneità, l’eterodirezione,  si manifesta come cessione di sovranità economica ed è molto rischiosa perché può far perdere ad un paese la capacità di individuare un percorso per rafforzare la crescita economica oppure per uscire dalla crisi economica. I policy makers delle economie emergenti devono dunque essere attenti a fare in modo che gli investimenti diretti esterni siano tali da far permanere l’economia nazionale in un modello di crescita economica endogena. In questo senso moto importante è la struttura dei diritti di proprietà-. Se i diritti di proprietà sono oggetti di una trattazione a livello internazionale e soprattutto trattati su mercati  esteri allora l’assetto produttivo dei paesi emergenti è “ceduto” all’estero, su mercati esteri, da operatori istituzionali difficili da controllare. Allora una strategia fondamentale per i paesi emergenti è sviluppare un proprio mercato finanziario nel quale trattare i titoli di proprietà e sviluppare un proprio sistema bancario e delle proprie istituzioni di controllo e regolamentazione in materia bancaria e finanziaria. La costruzione del mercato finanziario, del sistema bancario devono riflettere i valori delle economie dei paesi emergenti. Se taluni paesi hanno molto forte il senso della nazione, o della comunità allora essi devono fare in modo che le istituzioni finanziarie e bancarie e le organizzazioni da essere scaturenti siano improntate a questi valori e a questi principi. La crescita economia guidata attraverso il disegno di istituzioni ed organizzazioni capaci di rappresentare i valori culturale della popolazione e di servire il suo benessere.
Gli investimenti diretti esteri  dipendono molto dalle condizioni economiche dei paesi industrializzati. E poiché i paesi industrializzati sono caratterizzati da problemi demografici, come l’aging e il depauperamento del capitale umano e sociale, è probabile che le risorse economiche verranno impiegate per la ricostruzione di un assetto demografico e valoriale capace di interpretare i valori dell’economia occidentale. Sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno deciso di puntare sulla realizzazione di una nuova fase di industrializzazione e di produzione manifatturiera interna seppure questa abbia maggiori costi di impianto e di installazione rispetto ai costi della delocalizzazione produttiva. Le ragioni della reindustrializzazione dell’occidente sono di carattere politico. L’incapacità da parte dei governi di sostenere il benessere della popolazione comporta un reindirizzamento degli investimenti e una sorta di “nazionalizzazione delle corporations” trasformate da strumento di ultracolonialismo e soft power a nuovi enti per lo sviluppo delle imprese e dell’economia nel territorio statunitense ed europeo.

Non è quindi la riduzione della convenienza all’investimento estero, o la fragilità politica dei paesi emergenti a ridurre gli investimenti esteri, quanto la tensione politica nell’occidente a mettere un freno agli investimenti diretti esteri nei paesi emergenti. Maggiore sarà la difficoltà di riprendere un cammino di sviluppo economico, maggiori le preoccupazioni degli elettori statunitensi ed europei  circa il proprio livello di benessere economico, minore saranno gli investimenti diretti esteri. I paesi emergenti tuttavia possono incrementare il proprio capitale finanziario attraverso il disegno di nuove istituzioni finanziarie. 

giovedì 17 aprile 2014

Politiche economiche fiscali shortemiste per il Governo dell’economia reale

«Una manovra fiscale limitata al 2014, quale quella che va emergendo dalle bozze del decreto oggi all'esame del governo, rischia di non garantire strutturalità all'intervento sull'Irpef, ponendo al tempo stesso in primo piano il problema delle coperture, che non possono che essere certe e strutturali, proiettate su un orizzonte almeno triennale. […]L'interrogativo, peraltro sollecitato dalle valutazioni della Banca d'Italia, è così sintetizzato: al momento pare arduo assicurare che i proventi della revisione della spesa riescano a finanziare nell'ordine lo sgravio dell'Irpef, evitare l'aumento delle entrate e coprire gli esborsi «connessi con programmi non inclusi a legislazione vigente». Bruxelles, a quel che si può prevedere, prenderà atto della decisione del governo, autorizzata dal Parlamento, di deviare temporalmente dall'obiettivo di medio termine, in sostanza il pareggio di bilancio. Potrà eccepire sul mancato rispetto dell'impegno a ridurre il deficit strutturale di almeno lo 0,5% (quest'anno ci fermeremo allo 0,2%), ma difficilmente opporrà strenue resistenze se il governo riuscirà a dimostrare con i fatti che è effettivamente in grado di spingere sul pedale dell'incremento della crescita potenziale dell'economia, grazie a riforme strutturali non solo annunciate ma realizzate.» (All'economia  servono misure strutturali di Dino Pesole, IlSole 24 ore, 18 aprile 2014)

Nell’articolo si fa riferimento alla difficoltà di realizzare delle riforme strutturali sull’Irpef.  Su questo punto di vista è necessario sottolineare che l’impatto della crescita del reddito disponibile per i consumatori può dare origine ad una risposta in termini di crescita dei consumi o di crescita del risparmio. Tuttavia è necessario considerare che la riduzione dell’Irpef fa parte di un progetto di riduzione congiunta delle tasse e della spesa pubblica guidata dall’Ue e promozionata da diversi partiti politici compreso il partito del presidente del Consiglio. La tassazione è infatti legata al reddito prodotto. La tassazione tende ad essere una politica economica di breve periodo. Tuttavia l’orientamento shortemista della politica economica è da considerarsi come un elemento di maggiore capacità performativa del Governo. In un contesto economico caratterizzato da shortemista soprattutto sui mercati finanziari è importante riconoscere anche al governo la possibilità di operare nel breve periodo. Il governo è stato infatti esautorato dalla possibilità di operare nel breve periodo. Il breve periodo è stato assegnato alle politiche economiche monetaria della Banca Centrale e ai mercati finanziari. L’impossibilità da parte del governo di realizzare delle politiche economiche shortemiste è una delle cause della crisi economica. Lo sbilanciamento dell’economia verso i mercati finanziari e le politiche delle banche centrali trova una sua motivazione nella incapacità del governo di realizzare delle politiche di breve periodo. E’ importante in questo senso considerare che la politica economica del Governo è del resto inserita all’interno di un progetto strutturale di riduzione della inefficienza dello Stato promosso dall’UE. Bene quindi la possibilità  per il governo di “giocare” corto. Soprattutto se alle politiche short si accompagna una comunicazione politica semplice capace di fare arrivare i contenuti dei provvedimenti di politica economica fiscale ai cittadini. In realtà i sostenitori del “primato della politica sull’economia” dovrebbero cercare di incrementare la strumentazione del governo volta alla realizzazione di politiche shortemiste.  Il governo deve essere presente nella contemporaneità dello svolgimento dell’azione economica. L’attribuzione dell’’attività della pianificazione economica all’ Ue rafforza la possibilità del governo di realizzare delle politiche economiche shortemiste.

La decisione  da parte di Bruxelles di accettare il mancato raggiungimento dell’obbiettivo di medio periodo è una maggiore dimostrazione del riconoscimento della Ue verso i governi di realizzare delle politiche economiche di breve periodo. L’Ue si riserva di aggiungere alla programmazione economica la fase del coordinamento tra le varie politiche economiche realizzate a livello nazionale. Maggiore la possibilità da parte dell’UE di realizzare pianificazione e coordinamento tra le politiche fiscale, maggiore la capacità dei governi di realizzare delle politiche economiche fiscali shortermiste capaci di “contrastare” le politiche economiche monetarie poste in essere dalla Banca centrale e gli attacchi dei mercati finanziari.

lunedì 14 aprile 2014

L'etica dell'avidità

« La Guardia di Finanza ha da poco localizzato una nuova pozza paludosa popolata di evasori sistematici, sfuggenti prestanome, professionisti sleali, burocrati infedeli, bancari ciechi, imprenditori senza onore. […] Nella pozza troviamo anche il notaio che cancella quattro società indebitate con Inps ed Equitalia, ma poi ne costituisce altre quattro, seguite dagli stessi commercialisti, con identica sede legale e medesimo oggetto sociale, lo stesso personale dipendente. Distratto? Complice? »( L'evasione? Si annida anche tra i burocrati di Lionello Mancini, Il Sole 24 ore, 14 aprile 2014)



In questo articolo si mette in evidenza la presenza di comportamenti economici razionali volti all’arricchimento personale a mezzo dell’evasione fiscale. L’evasione fiscale è un vero e proprio settore economico dell’economia italiana. Una cifra variabile tra il 12 e il 20% del PIL è attribuibile all’evasione fiscale. Se il prodotto interno lordo italiano contemperasse anche l’evasione, l’economia italiana sarebbe la seconda economia europea dopo la Germania e prima di Regno Unito e  Francia. Se l’evasione fiscale intesa come shadow fiscal economy, ovvero come economia ombra prodotta dell’inefficienza del sistema tributario, fosse posta in chiaro si produrrebbero degli effetti positivi sul reddito procapite, sulla legalità, sull’effettività dell’ordinamento, sulla cultura economica, sulla valorizzazione del capitale umano, sociale e relazionale, sulla crescita della capacità imprenditoriale. Tuttavia l’evasione fiscale viene considerato come un settore in grado di realizzare una sorta di extrareddito perla classe dirigente italiana. In mancanza di opportunità di investimento redditizie la classe dirigente italiana si esercita nell’acquisizione di contratti nella shadow economy attraverso accordi, una programmazione economica, l’instaurarsi di connessioni e connivenze, in grado di produrre reddito come evasione fiscale. L’etica che sostiene queste organizzazioni è l’etica dell’avidità. L’accumulazione di denaro trova una immediata giustificazione sociale. L’avidità si manifesta anche contro la legge, contro la comunità politica, contro i propri interessi legittimi e diritti soggettivi ad avere una pubblica amministrazione che funziona, uno Stato orientato al rispetto della legge, una economia capace di sostenere i più deboli e premiare i più meritevoli. Una delle ragioni per le quali si sviluppa il mercato dell’evasione fiscale sostenuto dall’etica dell’avidità consiste nella incapacità di trovare delle opportunità di investimento di valore aggiunto  in grado di produrre una vera e propria ricchezza in termini di Prodotto interno lordo senza esternalità per le fiscalità generale. L’avidità è da intendersi come una sorta di “financial hybris” ovvero di una illimitatezza dell’accumulazione di denaro. Il danno alla società, il danno ai concittadini, il danno alla comunità, la frode alla legge vengono considerati privi di valore rispetto alla possibilità di utilizzare l’ordinamento giuridico per l’ottenimento di risorse finanziarie e all’utilizzo di posizioni economiche di favore per la messa in opera delle operazioni volte alla realizzazione dell’evasione. Evadere è una operazione naturale, accettata presso la classe dirigente. La classe dirigente ritiene l’evasione un asset collaterale rispetto al reddito pubblico o privato ottenuto per contratto. All’etica dell’avidità si accompagna la pratica dell’avarizia. La pratica dell’avarizia si manifesta con le politiche dell’austerità volte alla riduzione della spesa pubblica, ai tagli degli investimenti, alla rottura della solidarietà sociale, alla distruzione dei corpi intermedi, all’innalzamento dell’economico su politico e sul sociale, alla funzionalizzazione delle relazioni personali, alla affermazione di una economia della legittimazione a mezzo del denaro nello screditameto de facto del principio “la sovranità appartiene al popolo”. La classe dirigente italiana è gravata in una struttura reddituale fissa. I funzioanri dello Stato hanno dei redditi limitati rispetto ai manager, ai banchieri, agli operatori di borsa. L’evasione allora diventa una sorta di “stock options market” per realizzare extraprofitti, extraredditi per partecipare del processo di arricchimento necessario per permanere nella “classe dirigente”. Le organizzazioni volte alla evasione fiscale devono essere efficienti, utilizzare le strutture di alto livello e una qualità dei dati sostenuta per poter realizzare il proprio progetto. L’efficienza consente di realizzare il salto di qualità: « […] il greed market si sostituisce al free market. Greed is good, greed is right (l’avidità è buona, l’avidità è giusta), gridava Gordon Gekko, il protagonista del celebre film di Oliver Stone , Wall Street (1987)» (S. Zamagni, Avarizia. La passione dell’avere, Bologna, il Mulino, 2009, pag.117). E in questa etica dell’avidità i funzionari, il liberi professionisti non vogliono stare a guardare, e pur di rimanere classe dirigente ricorrono al mercato dell’evasione.




venerdì 4 aprile 2014

L’unitarietà della Bce nell’eterogeneità del sistema integrato europeo

 “ L’ulteriore espansione della politica monetaria della Banca centrale Europa ( BCE ) non c’è stata[…], ma allo stesso tempo Mario Draghi ha fatto un annuncio importante: i rischi di instabilità […] verranno contrastati con ogni mezzo, non convenzionale e convenzionale, purché adatti alla realtà del nostro continente” […] “[...] la Bce potrebbe darsi un obbiettivo proprio in termini di livello dei prezzi: i questo potrebbe […] il bersaglio BCE sul tasso di inflazione ad un livello maggiore del due per cento, con un effetto molto potente e positivo sulle aspettative”[…]” Va ricordato ce tale meccanismo poggia su due pilastri. In primo luogo la politica monetaria definita dalla Bce contribuisce alla crescita economica nel medio termine la stabilità monetaria nell’Unione nel suo complesso. IN secondo luogo, tra la Bce-anello iniziale- ed il sistema economico- anello finale- c’è di mezzo il sistema bancario, e non i mercati finanziari, come negli Stati Uniti e nel Regno Unito”.[…] “Il canale che parte dalla banca centrale, passa dai mercati finanziari e arriva all’economia reale nell’Unione non c’è.”[…]” […]l’espansione monetaria potrebbe essere attivata privilegiando i titoli offerti da emittenti privati dell’Unione, purché dotati di caratteristiche di solvibilità, trasparenza e semplicità”.[…]”C’è un altro opzione: la Bce potrebbe attuare la politica monetaria ultra espansiva acquistando titoli pubblici a massima sicurezza (Tripla A) emessi da Paesi non appartenenti all’Unione monetaria ( Australia, Canada, Svezia, Svizzera, Regno Unito)[…] la manovra avrebbe un ulteriore impatto fiscale nullo sui Paesi dell’Unione, ed in più avrebbe un  effetto collaterale da molti gradito: spengere verso il basso il tasso di cambio dell’euro.” […]( Donato  Masciandaro, I due pilastri per l’azione “all’europea”, Il sole 24 ore, venerdì 4 aprile 2014, pag. 1 e pag. 22)


In  questo articolo che abbiamo riportato si fa riferimento alla questione delle politiche monetarie espansive che sarebbe necessario introdurre nell’Unione Europea per poter contrastare il possibile rischio della deflazione. La paura della deflazione potrebbe indurre alla manifestazione della deflazione. La predisposizione di politiche economiche contro la deflazione potrebbe comportare la deflazione. La  determinazione del tasso di inflazione è nella disponibilità della Bce. Nulla questio se la Bce determina il livello dei prezzi  nella considerazione del tasso di interesse. Il tasso di interesse influenza gli investimenti in modo diretto. La determinazione del tasso di interesse conveniente rispetto alla realizzazione degli investimenti può essere una politica di facilitazione per il miglioramento del rapporto di prossimità tra banche , imprese, famiglie, organizzazioni, individui e pubbliche amministrazioni.  Un basso tasso di interesse può essere una politica economica capace di rinsaldare le relazioni tra banche e clienti. Un basso tasso di interesse può essere un elemento a favore di nuovi investimenti e di un nuovo ruolo delle banche nel processo di allocazione del credito, di selezione della classe imprenditoriale, di remunerazione delle organizzazioni del terzo settore, e di svolgimento di un ruolo sociale nella difesa del risparmio e del patrimonio immobiliare delle famiglie. Il sistema bancocentrico europeo ha una sua funzione sociale capace di difendere e rappresentare i singoli, le famiglie, le imprese, le organizzazioni e le pubbliche amministrazioni. Le banche hanno tenuto bene riuscendo a salvaguardare la ricchezza presente nelle varie aree, soprattutto nei territori rurali e di montagne, dove più presente è il modello di banca di prossimità, di banca vicina alla popolazione, capace di interpretarne le aspirazioni, i sogni e rappresentarla di fronte alla finanza aggressiva del mercato. Anche le banche d’investimento, le banche d’affari, le banche predatrici così come quelle solidaristiche sono presenti in Europa e offrono possibilità di difendere i valori dei soggetti rappresentati. Insieme le banche europee offrono un “patrimonio genetico” al sistema della banca centrale capace di resistere alle crisi finanziarie, valutarie, produttive e commerciali. La capacità di resistere e reagire è tale da consentire all’Europa di essere un’area ad alto reddito, alta produzione, investimento e consumo anche in presenza di una crisi finanziaria. E’ possibile che la banca centrale possa remunerare talune banche europee in condizioni di efficienza pure in contesti regionali di difficoltà attraverso l’acquisto di titoli obbligazionari. Si tratterebbe del riconoscimento del valore e della cultura bancaria, della capacità di governo e del significato istituzionale di taluni istituti di credito pure in condizioni di difficoltà dell’ambiente. Un riconoscimento capace di operare nel senso dell’unità del sistema integrato europeo. 

mercoledì 2 aprile 2014

Euro: uno per tutti o tutti per uno ?

“A marzo l’inflazione dell’euro è scesa allo 0,5% su base annua.”[…] “ una inflazione così bassa rende difficile per il Sud Europa recuperare il gap di competitività con il Nord Europa senza cadere in deflazione” […]“con debiti e mutui fissi in valore nominale, una deflazione aumenta il peso reale del debito” […]“una inflazione così bassa […] può anche ridurre i benefici che l’Italia può trarre dallo spread”[…] “ […] una crescita dei prezzi così limitata indica che la domanda aggregata nell’area euro è ancora molto asfittica e/o che la politica monetaria è eccessivamente restrittiva.” […] “Il problema è che […] il meccanismo  di trasmissione della politica monetaria ( ovvero il settore bancario) è in difficoltà”[…] “Gli strumenti possibili sono due. Il primo è di iniziare a pagare un tasso negativo  sulle riserve che le banche detengono presso la banca centrale (ovvero tassare le riserve) [….] Un tasso di interesse negativo indurrebbe molte di esse a usare queste riserve, possibilmente in prestiti.[…] L’altra possibilità è quella di ricorrere a  qualche forma di quantitative easing, ovvero di acquisti di titoli da parte della banca centrale.[…] L’altra possibilità è che la BCE compri titoli di alta qualità emessi nel settore privato. [...] Purtroppo l’Italia non è nella  posizione di avvantaggiarsi molto di una simile manovra”. (Luigi Zingales, Fare credito per battere ladeflazione, Il sole 24 ore, Mercoledì 2 aprile 2014, pag. 1 e pag. 6)


Nell’articolo  riportato in parte, si mette in evidenza il problema della bassa inflazione o anche della deflazione. Ora è necessario considerare che la bassa inflazione e la deflazione sono due fenomeni diversi nell’area euro entrambi coesistenti. La bassa inflazione caratterizza l’area euro nel suo complesso, la deflazione caratterizza alcune economie dell’area euro tra le quali spiccano la Grecia, il Portogallo, Cipro e la Slovacchia. Nessuno dei grandi paesi europei per prodotto interno lordo procapite, per prodotto interno lordo e per sistema industriale si trova nella condizione di deflazione. Ne deriva che la deflazione colpisce solo una piccola parte dei paesi europei in termini di prodotto interno lordo e di popolazione. L’incidenza della deflazione sul debito pubblico di queste economie più debole è certo negativa. Non v’è dubbio che l’economia di questi paesi subisce a causa della persistente deflazione. La politica monetaria a livello europeo sembra essere nel suo complesso restrittiva. E’ necessario considerare che mantenere bassi i tassi di interesse può essere una politica economia della sostenibilità finanziaria, un punto fermo in una Europa per altri versi caratterizzata da eterogeneità, diversità e devianza.  Tuttavia si mette in evidenza la difficoltà del sistema bancario europeo. Il sistema bancario europeo è eterogeneo e caratterizzato da grande diversità. La biodiversità istituzionale è un elemento di grande ricchezza civile nell’Europa unita, un elemento unico nel panorama economico della globalizzazione.  Vi sono pertanto banche e sistemi bancari a diversa manifestazione ordinamentale per efficienza, capacità di incontrare le esigenze delle imprese, delle famiglie e delle organizzazioni a fondamento istituzionale afferenti, e pure con diversa attitudine predatoria, affaristica, privatistica o solidaristica. La ricchezza istituzionale europea è un elemento di grande solidità capace di offrire diverse metodologie per la risoluzione di problemi complessi. Tuttavia si pone il problema della necessità di trovare metodologie per la promozione di una politica monetaria espansiva. Si propone l’acquisto di titoli dello Stato pur sapendo del fondamento co-federale dell’Unione europea e della mancanza di “eurobond”. Tuttavia si propone di sostituire il quantitative easing sui titoli dello Stato con un quantitative easing sui titoli di imprese di “grande affidabilità”. E’ necessario mettere in evidenza quanto la prima proposizione “realizzare un quantitative easing sui titoli dello Stato” non sia proponibile per mancanza di eurobond. Si potrebbe realizzare soltanto su titoli di paesi che si trovano in difficoltà ovvero la Grecia, il Portogallo, Cipro e la Slovacchia. Tuttavia si tratterebbe di una politica monetaria volta alla convergenza e alla integrazione del sistema bancario, ovvero una politica a favore dell’esigenza unitaria dell’eurosistema, volta ad incrementare l’efficienza dell’ordinamento della banca centrale. Non  si potrebbe fare riferimento alle politiche monetarie del tipo “quantitative easing”, poiché queste ultime necessitano dell’esistenza di titoli dello Stato, ovvero di eurobond. La seconda proposizione ovvero  realizzare un quantitative easing su titoli privati di alta qualità è deflation-improving, ovvero è una politica monetaria a sostegno della deflazione. Poiché le imprese capaci di emettere titoli di alta qualità sono presenti nelle economie più evolute ovvero Germania, Francia, e quindi i paesi in deflazione, ovvero Grecia, Portogallo, Cipro, Slovacchia, non sarebbero oggetto di una politica interventista. Realizzare un quantitative easing sui titoli privati di alta qualità sarebbe quindi una politica economica monetaria della divergenza, produttiva di diseguaglianza, disgregante per l’unitarietà dell’eurosistema. L’idea di proporre un “private quantitative easing” potrebbe pertanto essere una politica monetaria a sostegno della distruzione del sistema integrato europeo.