sabato 30 gennaio 2016

Reddito di cittadinanza contro l'eugenetica economica


Il reddito di cittadinanza è sostenibile. Le motivazioni politiche e sociali contro il reddito di cittadinanza fanno riferimento a due elementi fondamentali: l’invidia sociale e la volontà di alcuni gruppi di vincere un gioco a somma zero sulla finanza pubblica. La presenza di una politica economica della redistribuzione fondata sul reddito di cittadinanza è in grado di dare stabilità all’interno sistema economico. Le contrapposizioni verso il reddito di cittadinanza sono del tutto strumentali e realizzate da una classe dirigente sorda, cieca e muta rispetto alle difficoltà della popolazione a far fronte anche alle necessità a volte minime che pure possono produrre delle tragedie. Del resto la fine della società fondata sul lavoro fisso, come è stata anche consacrata nella cultura di massa ha peggiorato la condizione di tanti lavoratori e ha trasformato la precarietà in debolezza economica e, cosa ancora più grave, in fragilità economica. In un contesto di globalizzazione, in uno scenario macroeconomico, difficile la probabilità di trovare una stabilità economica diventa sempre più lontana. La società è orientata ad una dimensione spartana sotto il profilo economico: da un lato vi sono coloro che riescono a realizzarsi con le professioni, le start up, le imprese; dall’altro lato vi sono i falliti incapaci di acquistare beni primari ovvero avere una alimentazione adeguata, una casa e del vestiario. L’incertezza economica aumentare ancora di più le differenze esistenti tra i vincenti e i falliti. Il fallimento nella società europea meridionale ha un significato diverso rispetto al fallimento nelle società dell’Europa settentrionale o anglosassoni. Gli anglosassoni hanno una visione dell’impegno civile, sociale, una cultura fondata sulla necessità di arrivare al successo nella consapevolezza delle difficoltà di percorso con un metodo che è in grado di trasformare i fallimenti in vittoria. Gli europei meridionali hanno una visione diversa fondata su principi ineluttabili: il fallimento è attribuito a cause sistemiche, al destino, a forze di causa maggiore. La cultura dell’individualismo è carente nella cultura dell’Europa meridionale. Manca del tutto la possibilità di mettere a sistema l’individualismo con la cultura dell’etica della responsabilità individuale, ovvero l’idea che i fallimenti sono prodotto anche da motivazioni intrinseche dei singoli soggetti e che quindi attraverso un processo di modificazione di abitudini, e culture, è possibile arrivare ad una crescita e al successo. In un contesto di rifiuto delle responsabilità individuali cresce anche l’odio nei confronti delle organizzazioni comunitarie, sociali, statuali, politiche: ecco perché gli europei meridionali partecipano sempre meno, in relazione alle popolazioni del Nord Europa e rispetto ai paesi anglosassoni, a movimenti civici, civili, sociali. Il cambiamento culturale dell’Europa mediterranea è un fenomeno epocale difficile da realizzare. Le politiche economiche volte alla eliminazione della diseguaglianza, della povertà, della debolezza e fragilità economica possono essere oggetto di una valutazione anche di carattere analitico sulla base delle risorse disponibili in un quadro di finanza pubblica e sulla base del prodotto interno lordo. Come vedremo in questa breve analisi sommaria la presenza di risorse economiche e finanziaria può sostenere il reddito minimo di cittadinanza, o, in generale una misura di trasferimento monetario. Tuttavia occorre considerare prima gli ostacoli maggiori a misure volte alla eliminazione della povertà: l’invidia sociale e il gioco a somma zero sulle risorse pubbliche.

L’invidia sociale
L’invidia sociale è un potente motore dell’azione dei gruppi e degli individui all’interno del contesto politico economico e sociale. Gli economisti hanno dimostrato, con varie pubblicazione, che gli individui sono interessanti al reddito in misura relativa rispetto al reddito del vicino, del collega, del prossimo. Il reddito assoluto ha una sua qualche rilevanza. Tuttavia i soggetti scatenano la loro forza di riscossa sociale quando scoprono magari che i colleghi guadagnano 5-10% in più per mansioni simili, che taluni hanno avuto un incremento di carriera in grado di aumentare il reddito anche marginale, che taluni anche vicini, amici, e prossimi, conoscenti hanno accesso a benefits pure in presenza di responsabilità di lavoro simili. Il fatto di scoprire che taluni guadagnano di più, anche poco, in misura marginale, può scatenare delle forze organizzative sociale enormi. Il lavoratore, il professionista, il manager prova una sensibilità bassa nel sapere che in un’altra nazione, al top dell’azienda di un altro settore, una persona poco nota ottiene un reddito superiore al proprio. Ma l’individuo tende ad essere molto sensibile nel sapere che il proprio vicino di casa ha una macchina più grossa, una televisione migliore, una moglie migliore, un standing sociale migliore. Anche gli aspetti estetici giocano un qualche ruolo nell’invidia sociale. Ora poiché molti hanno fatto molta fatica a trovare affermazione nella vita, cosa per alcuni versi giusta e per altri da compatire, potrebbero essere davvero contrari nel vedere il proprio vicino dotato di un reddito di cittadinanza perché magari ha perso il lavoro, come sussidio agli studi, o perché ha una famiglia numerosa, o perché ha deciso di rimettersi in gioco con una attività che darà i suoi frutti nel futuro. L’invidia sociale porta le persone ad essere contrari e a sostenere l’idea della “selezione economica della razza” ovvero una forma di “Nazismo economico” fondato sull’idea che se nella vita sei un fallito devi essere rimosso dalla società. L’eugenetica economica produce mostri simili all’eugenetica biologica con degli effetti sociali devastanti. L’invidia sociale è un elemento difficile da modificare. L’invidia sociale è presente e abbastanza pertinace. Il superamento dell’invidia sociale, o meglio la sua soppressione, può avvenire attraverso politiche economiche in grado di realizzare delle nuove attività. Il problema è che l’invidia sociale la provano anche i ricchi e questo porta ad un incremento inevitabile della diseguaglianza.

Il gioco a somma zero sulle risorse dello Stato
Il gioco a somma zero sulle risorse dello Stato è realizzato da diversi partiti, gruppi informali, e gruppi di pressione. La gestione dei contributi pubblici è sempre oggetto di una fortissima operazione di lobbying. I poveri sono tanti in Italia, come dimostrato dallo studio di DEmilione, Giuliano e Mandrone.  Tuttavia una caratteristica della povertà è che porta i poveri ad essere sempre più isolati, a vivere in condizioni anche sanitarie difficile, a soffrire per il deperimento delle reti sociali. La possibilità per i poveri di realizzare una attività di lobbying nei confronti della burocrazia e della politica per poter ottenere delle risorse economiche e finanziarie è molto bassa. I poveri scontano a livello politico e sociale il prezzo più alto della povertà. Inoltre i partiti e i gruppi politici da sempre interessati a difendere i poveri hanno mancato le promesse, gli obbiettivi e le politiche. I sindacati e la sinistra hanno centrato la propria azione politica sulla difesa del lavoratore. Il lavoratore è stato borghesizzato dalla classe dirigente e quindi il sindacato e la sinistra hanno perso la capacità di essere rappresentativi oltre ad aver perso anche il proprio elettorato. I poveri oggi sono senza lavoro, svolgono dei lavori mal pagati, ma retribuiti sono precari e hanno necessità anche di ottenere delle risorse economiche aggiuntive. I poveri, in una definizione che mette insieme sia i soggetti deboli che i soggetti fragili sotto il punto di vista economico, il vero riferimento dei partiti di sinistra, di centro ispirati dalla dottrina sociale della chiesa, e della destra nazionalista sociale. La jobless society potrebbe vedere crescere il novero dei soggetti privi di lavoro o in condizioni di lavoro precarie. Una politica economica fondata sul trasferimento anche monetario nei confronti dei soggetti deboli a livello economico può anche scongiurare forme di estremismo politico a forte base sociale.

I dati
Il valore dei poveri è molto alto in Italia. Si stima che circa 20 milioni di persone potrebbero avere difficoltà ad affrontare delle spese di ammontare modesto. Ma quanto costerebbe il reddito di cittadinanza ?
Immaginiamo che il Governo decida di dare un contributo pari a 1.000,00 euro per 12 mensilità a 5 milioni di cittadini italiani. Il valore sarebbe pari a circa 36 miliardi di euro. Secondo quanto previsto dalla Ragioneria Generale dello Stato il valore delle spese totali come media del criterio per competenza e del criterio per cassa è pari a  €   808.492.000.000,00. Immaginando che i 5 milioni di soggetti destinatari dell’assegno decidano di spendere il 75% del contributo in consumi essi realizzerebbero un valore annuale di consumi pari a 27 miliardi e porterebbero ad un aumento del PIL pari a 1,67%. Se inoltre supponimoa che i 27 miliardi vengono investiti in beni sottoposti ad un prelievo Iva del 22% , il consumo produrrebbe una crescita del gettito IVA pari a 5,9 miliardi di euro con una crescita pari al 6,35%. Il 25% del contributo ottenuto dai cinque milioni di cittadini sarebbe destinato al risparmio per un valore complessivo di 9 miliardi di euro.
Tuttavia taluni potrebbero obbiettare che dare un contributo di 600 euro a 5 milioni di persone potrebbe essere insufficiente che in realtà sarebbe meglio aiutare con contributi considerevoli i soggetti sottoposti ad un regime di povertà ancora più stringente. Allora immaginiamo che il Governo accolga la proposta dei puristi dell’aiuto ai poveri e che stabilisca un assegno di 1.000,00 euro al mese per dodici mensilità per 3 milioni di persone per un valore complessivo di 36 miliardi di euro. Cosa cambia nell’economia ? Se immaginiamo che i 3 milioni di destinatari spendano il 75% del reddito per acquistare beni allora i consumi aumenteranno di 27 miliardi di euro, con un crescita del Pil pari a 1,67%, un aumento del risparmio pari a 9 miliardi di euro, un aumento delle entrate derivanti dall’Iva pari a 5,9 miliardi ovvero pari al 6,35%.
In realtà si potrebbe obbiettare che questi sono conti semplici, banali. In effetti un po’ lo sono. L’effetto sull’economia di un assegno di trasferimento monetario rivolto a 5 milioni di persone, o a 3, nel caso ristretto, è in realtà superiore a quanto descritto. Vi sono una serie di beni che aumentano valore: il capitale umano, il capitale sociale, relazionale, la salute degli individui e la tenuta delle istituzioni. Una società senza posto fisso è possibile con contributi e trasferimenti quasi-fissi.
I dati del Pil sono presi dall’Eurostat, i dati della finanza pubblica dal sito della Ragioneria generale dello Stato.

AMMONTARE TRASFERIMENTO INDIVIDUALE
MENSILITA'
PERSONE
TOTALE
€ 600,00
12
5.000.000
€ 36.000.000.000,00
€ 1.000,00
12
3.000.000
€ 36.000.000.000,00

PERCENTUALE IN CONSUMO 75%
 €                 27.000.000.000,00
PIL ITALIA
 €   1.613.859.100.000,00
AUMENTO PIL IN PERCENTUALE
1,6730085
AUMENTO RISPARMIO
 €     9.000.000.000,00
AUMENTO IVA
 €   5.940.000.000,00
AUMENTO DELLE ENTRATE DELL'IVA IN PERCENTUALE
6,35

giovedì 28 gennaio 2016

Il mercatismo facile delle bad bank


« Questo pasticcio nasce da una contraddizione di fondo tra due obiettivi in contrasto tra di loro: quello di agevolare la vendita sul mercato delle sofferenze bancarie, grazie alla garanzia statale, e quello di evitare che tale garanzia sia un aiuto di Stato. È la classica “botte piena e moglie ubriaca”. L’intervento statale avrebbe avuto senso solo se fosse stato possibile concedere la garanzia ad un prezzo agevolato; oppure nel caso di una “bad bank di sistema”, cioè di una società-veicolo unica in cui concentrare tutte le sofferenze accumulate dal sistema bancario italiano. In questi due casi lo Stato avrebbe svolto una funzione che un soggetto privato non avrebbe potuto o voluto svolgere. Ma a queste condizioni, dove ogni banca fa da sé e la garanzia statale è a “prezzi di mercato”, a cosa serve l’intervento dello Stato? Forse serve solo a dire che il governo ha mantenuto la sua promessa di risolvere il problema delle sofferenze bancarie, e che la Commissione Ue non è poi così cattiva come qualcuno vuole fare credere (soprattutto dopo il “salvataggio” delle quattro banche regionali). Insomma, il classico accordo fatto per salvare la faccia a tutti.» (Angelo Baglioni)


Il metodo della bad bank viene proposto come vincente. Tuttavia il riferimento ad un generico mercato sembra essere eccessivamente mercatista per una operazione volta a salvaguardar alcuni beni pubblici come il risparmio, la stabilità finanziaria, e il bene pubblico. La possibilità di allocare sul mercato i titoli obbligazionari ABS può essere molto bassa a causa della presenza di crediti deteriorati, di sofferenze bancarie e di tranche obbligazionarie di altissimo rischio di insolvenza. Il mercato delle sofferenze bancarie dovrebbe essere strutturato come un obbiettivo delle istituzioni europee e regolamentato con degli strumenti anche di carattere normativo ed una selezione degli operatori abilitati al trading. La probabilità di fare scattare il bail in è molto elevata con perdite contabilizzate nel bilancio dei soggetti azionisti innanzitutto.  Forse il vecchio sistema del salvataggio da parte dello Stato dovrebbe essere ripristinato: lo Stato crea un ente attraverso il quale dispone l’acquisto delle banche in crisi economica, procede ad una operazione di ristrutturazione dei crediti insieme con la Banca  Centrale Europa, con il concorso della banca centrale nazionale, procede all’identificazione di eventuali imprenditori interessante all’acquisito e rimetter la banca sul mercato. Nel frattempo la banca può continuare ad operare per i risparmiatori. Il rischio di fallimento della banca viene scongiurato, il commissariamento del management da parte dello Stato consente di realizzare una ristrutturazione creditizia accompagnata da un attività di ricerca di nuovi soci interessanti ad acquistare la nuova banca. Alla fine del processo la banca ristrutturata nella sua struttura creditizia, con un nuovo management, u nuovo azionariato, può andare sul mercato attraverso una operazione di restyling istituzionale.
Il rischio della band bank ovvero la mancata specializzazione del mercato finanziario
L’eccessiva fiducia nel mercato proposta attraverso la realizzazione del metodo della bad bank potrebbe portare il sistema bancario verso una condizione di fallimento del processo di ricollocazione delle banche in difficoltà. I mercati sono ineffcienti richiedono processi di aggiustamento, gli investitori possono essere interessati a realizzare delle attività di speculazione nell’acquisto delle obbligazioni pure consentite dallo Stato. Nonostante i mercati siano caratterizzati da un certo grado di profondità e di specializzazione  sembrano incapaci di procedere ad assimilare il complesso delle passività bancarie delle band bank. Occorre inoltre considerare che in caso di crisi sistemica, con una debolezza della ripresa economica e una economica che stenta a riprendere it assi di crescita della golden age, l’indebitamento degli Stati ed una generale condizione di precarietà anche sui mercati finanziari, i mercati potrebbero essere privi della capacità necessari per assimilare il complesso dei titoli delle bad bank. 

Un nuovo protagonismo dello Stato nell’economia
La crisi economica ha portato alla mente di tutti la debolezza del mercato finanziario, le inefficienza. L’idea di poter creare dei contratti che potessero sempre essere rivenduti a controparti solvibili è fallita. Il mercato finanziario  nel suo fallimento ha trascinato anche le banche, distrutto industrie, imprese, fatto fallire individui, famiglie organizzazioni e messo in crisi anche lo Stato. Il mercato ha difficoltà a risolvere i suo problemi di stabilità finanziaria. L’attività dello Stato come calmierante del mercato  è fondamentale soprattutto in momenti di crisi economica come nel caso delle band bank.
Imparare dal passato

La scienza economica viene intesa da alcuni come una battaglia ideologica. Niente di più sbagliato. L’economista è uno scienziato e deve guardare alla risoluzione dei problemi. Uno strumento presente nella “cassetta degli attrezzi dell’economista” è costituito dall’utilizzo dello Stato. Lo Stato può salvare le banche. Il salvataggio può avvenire attraverso disposizione dell’unione europea con una delega nei confronti degli stati nazionali ad operare. Il processo del salvataggio può avvenire nei modi tradizionali previsti dalla teoria economica: la creazione di un istituzione volte al salvataggio delle banche costituita sia dallo Stato con l’ausilio della banca d’Italia con le seguenti finalità: cambiare il management, trovare nuovi proprietari, procedere al risanamento attraverso l’acquisto delle passività ad un prezzo basso da fare scattare come elementi positivi del bilancio a seguito della ripresa economica della banca.  Alcuni potrebbero oppure a questa definizione che in realtà anche in passato lo Stato ha sbagliato negli interventi nell’economia. Tuttavia è necessari sottolineare che dobbiamo riportare il sistema economico a vivere un’alternanza stato -mercato perché qualora uno dei due enti, lo Stato e il mercato. Il rischio del mercatismo è di attribuire troppi gravami al mercato. La crisi economica ha colpito le banche, gli investitori, ha creato nuova eguaglianza e attraverso la riduzioen dell’operatività degli intermediari bancari ha ridotto anche la possibilità di salvataggi da parte di “Privati”. Un nuovo centralismo dello Stato nel salvataggio delle banche può consentire all’economia di essere più solida, più stabile, di soffrire meno per le crisi sistemiche, di cercare una nuova contrapposizione con il mercato, in una competizione anche istituzionale volta alla crescita della sostenibilità complessiva del mercato. In caso di crisi finanziaria lo Stato può intervenire a salvare gli operatori. Tuttavia lo Stato può operare solo sulla base di leggi, di norme, di regolamenti disponenti la realizzazione di istituzioni e di organizzazioni in grado di risolvere i fallimenti del mercato. Il dibattito europeo è troppo concentrato sul mercatismo, sulla libertà degli operatori del mercato e rischia di perdere il senso dell’importanza dello Stato anche per salvare le comunità, le imprese e con essi cittadini. Lo Stato è certo un ente che deve essere sottoposto ad un continuo processo di innovazione e di formazione ma che può tuttavia può essere ancora protagonista anche nella fase del capitalismo post- great financial crisis. 

mercoledì 27 gennaio 2016

L’industria manifatturiera verso l’informatizzazione


Ci sono insomma vari dossier fondamentali per rafforzare la competitività delle nostre economie che meritano l’attenzione di Angela Merkel e Matteo Renzi. Sarebbe un segno importante dedicarvici tempo e neuroni, anche perché gli imprenditori dimostrano sorprendente timidezza nel coltivare i rapporti bilaterali. Nell’economia globale, per costruire alleanze economiche, finanziarie e politiche è fondamentale contare, con la presenza di amministratori stranieri nelle grandi società quotate. Entrambi i paesi si contraddistinguono per il modesto livello di internazionalizzazione dei consigli di amministrazione, ancor più a livello bilaterale. Nel 2013 c’erano appena nove tedeschi nei principali cda italiani e undici italiani in quelli tedeschi, oltretutto in calo dal 2006, quando erano rispettivamente venti e quattordici. Un esempio di Verschrottung (rottamazione) di cui si poteva fare a meno.” (Andrea Goldstein)

Il manifatturiero necessita di una struttura economia basata su costi delle materie prime basse. Il prezzo dell’energia, della manodopera, delle materie prime impiegate deve essere basso per potere offrire un prodotto in grado di essere competitivo sul mercato. La produzione in Europa risulta essere sconveniente. Le multinazionali europee del settore manifatturiero tendono a produrre nei paesi asiatici dove i prezzi dei fattori sono bassi. Il futuro del manifatturiero europeo può essere a carattere direzionale: imprese multinazionali aventi sede giuridica in Europa- per motivazioni fiscali e di controllo-  e sedi produttive nei paesi asiatici o in  Africa. Il peso relativo dell’industria in senso stretto depurata delle costruzioni è diminuito a seguito della globalizzazione. La probabilità di un ritorno della centralità dell’industria manifatturiera in Europa è molto bassa. La sfida del settore quaternario fondata sull’innesto delle tecnologie informatiche nei processi di meccanizzazione potrebbe portare ad una crescita della convenienza alla produzione manifatturiera in Europa attraverso la crescita dei processi di robotizzazione e di informatizzazione. Il settore della governance e del controllo societario delle imprese di produzione dovrebbe essere il kernel dello sviluppo manifatturiero europeo. Le multinazionali dell’industria manifatturiera possono svolgere in Europa dei processi di brevettazione, di individuazione di nuove metodologie e pratiche per l’incremento dell’efficienza produttiva attraverso una connessione stretta tra ricerca e sviluppo e brevettazione. La specializzazione nella governance e nella brevettazione possono garantire alle imprese industriali europee di esercitare il controllo sulla produzione manifatturiera mondiale. L’Unione Europea può operare attraverso le istituzioni comunitarie nella ricomposizione dell’interesse dei cittadini. L’Unione Europea dovrebbe limitare i rapporti bilaterali e multilaterali e operare come un corpo unico attraverso la disposizione di una politica economica manifatturiera uni-laterale volta alla crescita della produzione industriale controllata dalle imprese aventi sedi in Europa.

L’industria in Europa: un settore destinato a diventare marginale
Il sistema manifatturiero europeo è stato messo a dura prova. La globalizzazione ha allargato il novero dei soggetti in grado di accedere alle conoscenze necessarie per l’esercizio profittevole della produzione manifatturiera. La crisi economica ha colpito le imprese manifatturiere con una riduzione considerevole della capacità produttiva. Le imprese europee hanno resistito ai due fenomeni epocali attraverso la concentrazione sulla produzione, con processi di fusione e acquisizione. La percentuale di prodotti manifatturieri realizzati in Asia è in aumento. Le aziende europee hanno costi di produzione elevati. Il costo delle materie prime, dell’energia, della manodopera rendono priva di convenienza l’intrapresa manifatturiera in Europa.  Il futuro dell’industrializzazione in Europa sembra passare attraverso la riduzione degli impianti, degli stabilimenti organizzati secondo logiche gigantiste. La globalizzazione ha portato lo sviluppo tecnologico verso paesi nuovi innanzitutto asiatici e africani.
I processi di informatizzazione
I processi di informatizzazione possono salvare l’industria manifatturiera europea. La connessione tra industria manifatturiera e settore quaternario può consentire alle aziende europee di permanere in un sistema economico produttivo. L’informatizzazione necessita di capitale umano qualificato in grado di produrre innovazioni volte alla crescita della produzione. Attraverso l’informatizzazione le imprese industriali possono ottenere anche dei vantaggi di efficientamento delle risorse disponibili con una riduzione del capitale umano impiegato nei processi di lavorazione. La robotizzazione può consentire di abbattere i costi del fattore lavoro. La connessione tra settore secondario, ovvero l’industria in senso stretto, e il settore quaternario, ovvero i processi di informatizzazione dei processi produttivi può portare ad una crescita della produzione e consentire alle imprese europee di conservare la capacità produttiva.
 Le multinazionali europee possono assumere una specializzazione nella governance
Le imprese multinazionali europee possono diventare esperte nella governance. Le sedi decisionali possono essere mantenute in Europa per motivazioni di controllo e per ragioni anche fiscali. Le sedi produttive possono essere allocate nei paesi di nuova industrializzazione, ovvero nei paesi asiatici e africani, attraverso un processo continuo anche di fusioni societarie volte ad incrementare la base produttiva delle multinazionali. La governance può essere l’elemento in grado di consentire alle imprese industriali europee di permanere ad un livello elevato di competitività a livello globale. Grazie alla globalizzazione le multinazionali hanno maggiore possibilità di realizzare il modeling delle strutture produttive sulla base delle condizioni di produzione esistenti a livello globale.
L’industria manifatturiera europea: brevettazione e nessi produttivi con R&S
L’industria manifatturiera europea può contare anche su processi di connessione stringenti con i settori della Ricerca e Sviluppo per incrementare la brevettazione. I brevetti, le innovazioni tecnologiche e metodologiche applicate alla produzione industriale possono consentire di avere un maggiore vantaggio competitivo anche rispetto ai competitors cinesi e dei paesi di nuova industrializzazione. Il vantaggio competitivo in termini di ricerca e sviluppo dei paesi europei può essere molto elevato grazie alla presenza di una connessione stretta tra ricerca di base, ricerca applicata e grandi multinazionali. Il settore della ricerca può dare all’impresa la possibilità di essere competitività, di sviluppare marchi, prodotti, settori di produzione, mercati, e clientele nuove. L’utilizzo della brevettazione può consentire alle imprese di ottenere dei vantaggi riconosciuti in grado di preservare la capacità concorrenziale.
 Uni-lateralismo europeo nella definizione di politiche economiche industriali 
La possibilità dei paesi europei di porre in essere delle relazioni bilaterali dovrebbe essere ridimensionata. L’Unione Europea opera come un corpus nella ricerca della definizione di una unica politica economica in grado di preservare l’interesse dei cittadini europei. Gli accordi bilaterali o multilaterali tra paesi possono andare contro il sistema europeo. Tuttavia è evidente la presenza di interessi particolari di alcuni paesi rispetto ad altri dovuti alla particolare condizioni dei settori produttivi. I paesi a maggiore capacità produttiva industriale dovrebbero chiedere all’Unione Europea di svolgere delle politiche economiche vote alla riduzione della tassazione per le imprese manifatturiere, ad incrementare la spesa nella ricerca di base, ad aumentare il nesso tra ricerca e imprese volto alla brevettazione. Il futuro dell’industria manifatturiera europea passa anche per la capacità dell’impresa di introdurre innovazioni in grado di accedere al “quarto capitalismo”, di avere connessioni stringenti con la ricerca e sviluppo, e di creare un clima istituzionale favorevole anche alla riduzione delle imposte. L’industria manifatturiera può anche trovare una constituency nuova nei gruppi ambientalisti: l’informatizzazione consente di ridurre il valore delle emissioni inquananti e di ottenere un output sociale migliore. L’industria europea può essere salvata attraverso un processo di trasformazione sia della produzione con l’informatizzazione sia delle relazioni infracomunitarie, istituzionali e sociali.







martedì 26 gennaio 2016

Il salario nel mondo senza inflazione


Evitare sommatorie […] E considerare il salario […] nella sua totalità.” (Carlo Dell'Aringa)

Il salario dei lavoratori è determinato in base ad una componente fissa ed una componente variabile. L’ammontare del salario necessario per affrontare il costo della vita ha assunto una connotazione localistica. La difficoltà nella ricomposizione di regole salariali “generali” è rappresentazione della diversificazione regionale e infraregionale del lavoro e della produttività. Le regioni hanno una diversa capacità produttiva e una differenziata attitudine ad evolvere il sistema di produzione industriale. Agganciare la remunerazione a livelli dell’inflazione, oppure del prezzo del petrolio rischia di essere un errore nella fase attuale della globalizzazione. Il salario del lavoratore dovrebbe riflettere l’andamento del prezzo dei beni acquistati per ottenere una vita dignitosa nella considerazione anche del contesto socio-culturale. L’Unione Europea può stabilire regole quadro per il contratto di lavoro e per il diritto sindacale. I sindacati possono essere orientati ad un processo di europeizzazione.
Le enormi disparità regionali incidono sulla possibilità di individuare un salario unico per i lavoratori
Le disparità regionali nella capacità produttiva sono tali da rendere difficile indiviudare elementi in comune tra le varie tipologie di lavoro. La differenza nel costo del lavoro, nel costo della vita nelle varie regioni europee rendono nulla ab inizio la ricerca di un minimo comune denominatore per l’individuazione di regole salariali. Le diseguaglianze possono essere ancora più marcate in una condizione di analisi infraregionale. All’interno di una regione esistono diverse aree salariali in connessione con un andamento del prezzo dei fattori, del costo della vita, del prezzo della produzione.
La determinazione del  salario deve tenere in considerazione le disparità regionali. I lavoratori delle aree dove il costo della vita è più elevato dovrebbero avere una componente fissa elevata. I lavoratori delle aree dove il costo della vita è più basso dovrebbero avere una componente variabile fondata sull’analisi del rapporto esistente rispetto alla presenza di beni sociali, pubblici e comunitari.
La fine dell’inflazione e la sconfitta della macroeconomia
Il ruolo dell’inflazione nel sistema economica è cambiato. L’inflazione è bassa. In alcuni casi l’inflazione è negativa. Il mondo occidentale è orientato verso una struttura economica caratterizzata dalla scomparsa dell’inflazione. La deflazione è il fenomeno di politica monetaria caratterizzante l’attuale stato della globalizzazione nel mondo occidentale. La fine dell’inflazione ha delle conseguenze rilevanti a livello di andamento macroeconomico sul tasso di occupazione, sul ruolo di una moneta rispetto al mercato dei cambi e sul ruolo stesso della banca centrale in relazione al governo. Le banche centrali- soprattutto la BCE- sembrano prive della capacità di governare l’inflazione- ovvero di produrre crescite e riduzioni dell’inflazione- attraverso l’intervento con le politiche monetarie. L’inflazione può portare ad una crescita dei salari e dei prezzi. La crescita dei salari può essere anche minore della crescita dei prezzi. Tuttavia alcune categorie di lavoratori sindacalizzati possono ottenere salari superiori alla crescita dei prezzi. L’inflazione bassa elimina alla radice la possibilità per i lavoratori di vedere incrementato il reddito “da inflazione” e per i sindacati di poter intervenire attraverso politiche del lavoro volte alla modificazione della distrubuzione degli effetti dell’inflazione con la creazione di categorie di lavoratori tutelati. L’inflazione bassa riduce anche la possibilità per le banche centrali di operare sul mercato internazionale dei cambi. Il tasso di interesse può essere considerato in un certo senso come un prezzo. L’inflazione bassa impedisce di avere degli apprezzamenti sul mercato dei cambi. Il ruolo della banca centrale in assenza di inflazione, oppure con un andamento deflattivo, è pregiudicato. La banca centrale esercita poteri limitati. La riduzione del valore della banca centrale pone la questione della contrapposizione tra politiche economiche fiscali e politiche economiche monetarie. Una banca centrale in grado di governare l’inflazione può avere degli strumenti convincenti per contrastare o avvallare le politiche economiche fiscali.
L’uscita di scena dell’inflazione mette in pericolo la possibilità di utilizzare la macroeconomia sviluppata nel 900. Il ruolo dei mercati finanziari nella macroeconomia novecentesca è marginale. Nel contesto attuale della globalizzazione i mercati finanziari hanno un ruolo determinante nella definizione degli indirizzi di politica economica della banca centrale e del governo. Tuttavia manca una teoria macroeconomica in grado di mettere insieme da le politiche economiche degli enti pubblici e a rilevanza pubblica come per il governo e la banca centrale con la politica economica informale sviluppata dagli enti del mercato finanziario. Il mercato finanziario può vanificare sia le politiche fiscali disposte dal governo sia le politiche monetarie disposte dalla banca centrale.
Il fondamento del salario nel mondo senza inflazione
La riduzione del ruolo della macroeconomia pone la questione della necessità di trovare elementi in grado di sopperire all’inflazione per la determinazione del salario. Occorre considerare tre elementi nella definizione del salario: capacità di cogliere la partecipazione del lavoratore alla produzione; capacità del salario di comprare i beni fondamentali per il lavoratore; capacità del salario di ripagare il lavoratore della mancanza di beni pubblici, sociali, relazionali.
Il lavoratore attraverso il salario ottiene anche un riscontro della partecipazione al processo produttivo aziendale. La quantificazione del valore aggiunto prodotto, dell’output realizzato all’interno dell’impresa anche attraverso l’utilizzo di sistemi metrici di valutazione può consentire di individuare un elemento base del salario. L’impresa deve essere in grado di quantificare la parte della produzione riconducibile alla presenza attiva del lavoratore nel contesto aziendale. Il lavoratore deve poter conoscere il contributo dato alla produzione e alla determinazione di valore aggiunto aziendale.
Il lavoratore con il salario deve poter acquistare i beni necessari. Occorre considerare i costi delle case, l’ammontare degli affitti, il costo dei generi alimentari, dell’accesso ai beni tecnologici. La creazione di un paniere di beni deve avvenire sulla base zonale attraverso l’analisi delle provenienze dei lavoratori.
Il salario deve comprendere anche una parte in grado dare riconoscimento alla presenza di capitale umano, sociale , pubblico e relazionale. Occorre riconoscere la presenza di elementi relazionali e comunitari in grado di agire sulla felicità del lavoratore o sulla percezione delle felicità. I lavoratori operanti in contesti con un capitale sociale, pubblico o relazionale basso devono poter ottenere una componente del salario compensativa. Il salario dei lavoratori operanti in contesti con basso capitale sociale deve essere aumentato per consentire l’accesso ad una vita piena e dignitosa.
Il ruolo dell’Unione Europea

L’Unione Europea può disporre un diritto del lavoro e sindacale nuovo nel riconoscimento del ruolo della differenziazione regionale. Il sindacato può essere orientato ad una europeizzazione. La dimensione europea può consentire di incrementare l’equità nella determinazione dei salari dei lavoratori. 

domenica 24 gennaio 2016

Un mercato del petrolio plurale

 “Molti analisti si aspettano ulteriori diminuzioni prima che i prezzi ritornino a salire. Goldman Sachs, che prima della crisi finanziaria del 2008 aveva previsto un petrolio fino a 200 dollari al barile nel corso di una “super bolla”, ora stima che i prezzi potrebbero scendere fino a 20 dollari. Morgan Stanley – al contrario – prevede un rimbalzo nella seconda metà del 2016 fino a un prezzo medio di 37 dollari, pur sempre in calo rispetto alle sue stesse previsioni precedenti, che erano di 60 dollari a barile.” (Marzio Galeotti e Alessandro Lanza)

La riduzione del prezzo del petrolio accompagnata da una crescita dell’offerta e dalla crescita della domanda può essere caratterizzata da elementi di conflitto tra i vari paesi produttori nel tentativo di ridurre la convenienza a investire per la produzione di nuovi giacimenti. Il conflitto tra i paesi produttori per l’egemonia produttiva è traslato sui bilanci pubblici. Paesi produttori con bilanci pubblici solidi sostengono la politica del ribasso dei prezzi del petrolio attraverso il mantenimento di elementi di welfare sociale. Tuttavia la tendenza al ribasso del prezzo del petrolio potrebbe anche depurare il mercato di bolle speculative precedenti volte ad un incremento del prezzo per finanziare l’industria estrattiva. I bilanci dei paesi produttori potrebbero andare in crisi. Le posizioni lunghe assunte dagli investitori per trovare tutela basate sulla previsione di un aumento del prezzo del petrolio potrebbero portare scattare tra 3-5 anni. La riduzione del prezzo del petrolio può avvantaggiare i paesi di nuova industrializzazione e consentire al medio oriente di ottenere un posizionamento internazionale orientato sia all’occidente, sia all’africa e all’oriente. Il prezzo basso del petrolio è inserito in un contesto generalizzato di riduzione dei prezzi e partecipa alla deflazione sistematica globale.
Il conflitto tra i paesi produttori di petrolio
Il conflitto tra i paesi produttori di petrolio potrebbe portare ad una riduzione ulteriore del prezzo del petrolio. Il gioco a somma zero posto in essere tra i produttori attacca le riserve disponibili. Paesi con riserve strutturate possono resistere a lungo rispetto a paesi con riserve minori. Tuttavia il prezzo basso del petrolio può incidere sul posizionamento internazionale di un paese produttore, sulla capacità dei produttori di finanziare attraverso i proventi dell’industria estrattiva politiche economiche di welfare state, e blocca gli investimenti nel settore. Il gioco a somma zero tra i produttori di petrolio può essere vinto dal paese con maggiori riserve o, in alternativa, dal paese con maggiore protezione internazionale. La protezione internazionale può dare ai paesi produttori credito per sostenere l’investimento nell’apertura anche di pozzi petroliferi nuovi volti ad incrementare il numero dei barili offerti al mercato. La protezione internazionale consente anche di trovare con facilità mercati di sbocco per il greggio e garantire anche un miglioramento delle politiche economiche del welfare state. I paesi produttori di petrolio tendono ad avere delle posizioni internazionali di chiusura. L’apertura ai mercati internazionali può essere un elemento di sicurezza per evitare il trasferimento delle perdite subite sul mercato del greggio ai bilanci dello Stato e per consentire alla popolazione di permanere ad un livello di benessere elevato. La strategia per superare il pericolo di una stagnazione durevole del prezzo del petrolio dovrebbe quindi essere fondata sulla gestione delle riserve ottimale agganciata ad una politica internazionale volta ad ottenere credito accompagnato anche da una difesa con contratti assicurativi di lungo periodo. I paesi produttori possono impiegare le riserve per resistere all’attacco ribassista sul prezzo e il credito per incrementare i giacimenti petroliferi e per investire nel settore a beneficio delle casse dello Stato e dei cittadini.
La condizione di bilancio dei paesi produttori
Il bilancio dei paesi produttori può essere colpito dalla riduzione del prezzo del petrolio. Gli stati produttori potrebbero essere costretti a ridurre l’investimento pubblico per garantire servizi e diritti alla popolazione nel campo dell’istruzione, della sanità, dei trasporti pubblici e della sicurezza nazionale. I paesi produttori di petrolio in genere hanno mostrato una capacità bassa di accedere a forme di organizzazione dell’economia interna fondata su diversificazione, formazione di capitale umano, crescita economica. La crisi del petrolio potrebbe destinare alcuni paesi produttori ad una condizione di marginalità anche sul piano politico internazionale. Per rafforzare la struttura di bilancio i paesi produttori potrebbero rafforzare i consessi destinati ad accogliere le decisioni relative alla produzione del petrolio. I grandi paesi produttori potrebbero anche decidere di abbassare il prezzo del petrolio in modo strutturale con conseguenze di scarso rilievo.
Il ruolo delle organizzazioni internazionali e il vantaggio per i paesi di nuova industrializzazione
L’organizzazione dei produttori di petrolio dovrebbe essere in grado di realizzare un contrllo sui prezzi e sulle quantità offerte nel mercato. Il prezzo del petrolio basso mette in evidenza la scarsa operatività dell’OPEC. Le organizzazioni internazionali dovrebbero consentire ai mercati di operare in una condizione di stabilità anche se relativa. L’aumento del prezzo del petrolio dovrebbe avvenire attraverso una riorganizzazione produttiva decisa dai paesi partecipanti all’OPEC. Tuttavia i paesi produttori potrebbero decidere di chiudere il mercato all’ingresso di nuovi competitor.
I paesi di nuova industrializzazione possono ottenere molti vantaggi dal prezzo del petrolio basso. L’industrializzazione dei paesi asiatici e africani diventa accessibile con i prezzi attuali. La politica dei bassi prezzi del petrolio può spostare la capacità produttiva industriale dall’occidente verso l’oriente e l’Africa. Sul lungo periodo anche i paesi africani ed asiatici aventi accesso all’industrializzazione potrebbero accedere alla produzione di petrolio ed incrementare il novero dei paesi produttori.
La fine di un’epoca
Il numero di paesi produttori di petrolio è aumentato. Il controllo sulle quantità prodotte, grazie anche alla nuova tecnologia estrattiva, deve essere negoziato con i nuovi produttori. La governance del mercato petrolifero può portare ad una crescita del prezzo del petrolio nella considerazione della presenza di nuovi paesi produttori attuali e futuri. L’industrializzazione, il grado di apertura internazionale prodotto a seguito della conclusione dell’isolamento politico ed economico di alcuni paesi, porta ad incrementare l’offerta. Il sistema fondato su pochi produttori di petrolio in grado di decidere le quantità e i prezzi sembra essere finito. Il nuovo mercato del petrolio a livello internazionale è caratterizzato da una pluralità di soggetti produttori in grado di avere un impatto sulle produzione anche in presenza di prezzi bassi grazie al credito ottenuto dai mercati finanziari internazionali.
Una deflazione globale

L’economia della globalizzazione sembra orientata verso un processo di deflazione globale perdurante. I prezzi dei beni, dei salari, perfino delle materie prime tendono ad essere ridotti. Il ruolo delle banche centrali diventa marginale. Le banche centrali hanno difficoltà a produrre inflazione anche solo nei limiti del 2-3%. Il rischio della deflazione insieme con la marginalità dei mercati finanziari genera un ruolo nuovo per i mercati finanziari. La deflazione potrebbe essere sconfitta con nuovi accordi internazionali volti a ridisegnare le istituzioni multilaterali esistenti e a crearne nuove.

Una PA al servizio dei cittadini

“Il rilancio della Pa deve passare per la meritocrazia, a partire dalla selezione dei vertici. Entro l’estate il governo emanerà la delicatissima parte riguardante la riforma della dirigenza.” (Luigi Oliveri)

La PA efficiente è determinante per l’efficientamento dello Stato. L’efficienza della PA ha un impatto immediato sulle imprese, sulla politica, sui servizi offerti dai cittadini. Tuttavia permane il problema della meritocrazia, della gestione del personale, dell’introduzione di innovazioni tecnologiche e di processo, dell’incremento delle operazioni svolte dal cittadino avente la PA come ente certificante, della riduzione della superiorità “gerarchica” dell’amministrazione rispetto ai cittadini. Rimane inoltre il problema complesso di una pubblica amministrazione in conflitto con il potere politico: una questione difficile da risolvere nell’interesse dei cittadini. L’indipendenza funzionale della Pubblica Amministrazione dovrebbe essere salvaguardata. Il controllo della PA, soprattutto dei dirigenti, da parte del potere politico dovrebbe essere in parte limitato per evitare fenomeni di cattura della pubblica amministrazione da parte della politica. Tuttavia i politici investiti di incarichi istituzionali devono poter strumentare la PA per il raggiungimento di obbiettivi necessari alla tutela del bene pubblica. Il rapporto tra politici investiti di cariche istituzionali e pubblica amministrazione è controverso e richiede il raggiungimento di equilibri dovuti sia alla legge e ai regolamenti, sia alle best practices e alla cultura amministrativa presente nelle istituzioni.
La PA opera nella realizzazione degli obbiettivi dello Stato
La Pubblica Amministrazione ha la capacità di mettere in atto gli obbiettivi dello Stato sia di lungo periodo, stabiliti dalla Costituzione, sia di breve e medio periodo, disposti, attraverso le leggi e i regolamenti. L’efficienza della PA è l’efficienza dello Stato. Le imprese, i cittadini, le organizzazioni anche sociali hanno necessità di avere come partner la pubblica amministrazione per realizzare le attività. La PA incide sulla possibilità concreta di ottenere dei diritti come per esempio il diritto allo studio, il diritto alla salute, il diritto alla mobilità, l’ordine, la sicurezza. La PA opera anche come ente in grado di difendere e promozionare la vita comunitaria e difendere il ruolo degli individui all’interno della comunità nelle relazioni anche complesse tra i vari soggetti sociali.
Culture amministrative della PA: imperio vs servizio.
La cultura amministrativa può influenzare in modo determinante l’operatività della PA e orientarla al servizio nei confronti dei cittadini. Tuttavia esistono diverse culture amministrative alcune volte a difendere una sorta di superiorità della PA rispetto alla popolazione, altre invece orientate ad una visione di “servizio”.
La visione della PA come ente superiore alla popolazione in quanto esercente poteri pubblici può portare la popolazione ad avvertire la PA come un ente estraneo, privo della capacità di interazione con i sistemi politico-sociali. La popolazione può reagire ad una PA arroccata in un potere pubblico attraverso attività politiche ed anche civili e sociali. La crescita di movimenti liberali, libertari e minarchisti, presenti anche nelle formazioni politiche di sinistra, è in parte dovuta alla cultura della PA come struttura sovraordinata ai cittadini. I liberali, i libertari e i minarchisti, insieme con i movimenti civici, possono portare ad una riduzione dell’area di influenza della PA e produrre un sistema più orientato all’economia di mercato od anche all’economica civile entrambe a fondamento privato. La distinzione fondamentale tra l’economia di mercato e l’economia civile consiste negli elementi fondamentali della massimizzazione degli operatori economici: nell’economia di mercato gli operatori massimizzano il profitto; nell’economia civile gli operatori massimizzano le relazioni umane e intracomunitarie.
La cultura della PA come servizio nei confronti dei cittadini può incrementare l’accettabilità sociale della pubblica amministrazione. Intendere la PA come servizio può portare i cittadini ad essere ben disposti nei confronti dell’amministrazione pubblica. La cultura della PA come servizio ai cittadini può portare gli effetti seguenti: crescita della fiducia nelle istituzioni; aspettative positive circa il buon governo delle istituzioni; rafforzamento legami sociali e intracomunitari; crescita dell’intraprendenza imprenditoriale, civile ed sociale degli individui e dei gruppi collettivi; aumento della partecipazione delle donne all’attività politica, economica, sociale, culturale.
Le culture amministrative possono avere un’incidenza sulla performance della PA. L’efficienza dei servizi offerti dalla PA dipende sia da variabili manageriali, di dotazione strutturale di personale e tecnologia, e anche dalla capacità della PA di operare nell’interesse dei cittadini. L’incremento dell’efficienza della relazione tra PA e cittadini passa attraverso una cultura orientata al servizio ai singoli e alla comunità.
Politici vs Burocrati
I politici ed i burocrati entrano in conflitto. I politici cercano di modificare la PA per realizzare i programmi elettorali consacrati dal voto dei cittadini. I burocrati tendono a difendere l’ufficio, il ruolo e la funzione insieme con relazioni, rendite di posizione ed “empire building” realizzati nella PA. Il conflitto tra politici e burocrati è a detrimento dello Stato e della comunità. In caso di contrasti tra i rappresentati politici e i funzionari è probabile si verifichino delle riduzioni di servizi offerti, delle cattive erogazioni e delle condizioni di contrasto tra PA e cittadini e tra politici e cittadini. L’equilibrio all’interno delle istituzioni dovrebbe consentire ai dirigenti della PA di offrire i servizi professionali alla popolazione attraverso il riconoscimento di una indipendenza funzionale. I politici dovrebbero poter impiegare la pubblica amministrazione per il raggiungimento degli obbiettivi previsti dai programmi politici. Occorre evitare gli eccessi tra una pubblica amministrazione priva di autonomia e una pubblica amministrazione difesa dalla legge e dai regolamenti e priva di capacità dialogica istituzionale con i rappresentanti politici delle istituzioni. La ricomposizione degli interessi tra pubblica amministrazione e politici può avvenire attraverso il riferimento al bene comune, al bene pubblico come finalità più alta da conseguire nell’esercizio dell’attività di governo e di fornitura di servizi alla popolazione.
Il conflitto tra politici e burocrati può essere anche in grado di evitare delle distorsioni. La ricerca di rendite di posizione all’interno della PA può essere un elemento in comune tra burocrati e politici. Tuttavia il conflitto può impedire alla PA di diventare preda dei burocrati o dei politici e mantenere un livello di autonomia funzionale necessario alla realizzazione degli obbiettivi disposti dalla Costituzione, dalle leggi e dai regolamenti. Tuttavia il coinvolgimento della popolazione in alcune scelte fondamentali riguardanti anche la PA attraverso per esempio referendum, comitati, e i modelli previsti dalla cittadinanza attiva possono portare ad un superamento del conflitto interno alla PA tra burocrati e politici.
Una PA al servizio dei cittadini può essere in grado anche di eliminare le distorsioni politiche introdotte nei processi decisionali nel richiamare -come controparte necessaria per l’esercizio dell’attività amministrativa- la centralità dei cittadini.









sabato 23 gennaio 2016

Un Agenzia Europea per gli Aiuti di Stato

 “All’interno del governo si colgono approcci e impostazioni differenti […]. Nell’ultimo anno si sono di volta in volta presentate impostazioni fortemente interventiste […] E altre visioni che invece immaginano un rapporto di complementarietà, con il pubblico che investe dove i privati non hanno un ritorno sufficiente – le aree a fallimento di mercato – e che invece lascia campo libero a questi ultimi, eventualmente rafforzandone l’investimento con incentivi selettivi, nelle aree più sviluppate. Il passaggio a Bruxelles dei piani italiani ha sicuramente rafforzato questa seconda impostazione. Ma l’impressione è che ne rimanga sotto la cenere una più interventista e, ogni tanto, dia un bagliore. Anche se a volte la disciplina appare amara e indigesta, meglio che le sentinelle degli aiuti di stato rimangano allerta.” (Michele Polo)


La disciplina degli aiuti di stato dell’Unione Europea è molto variabile. L’Unione Europea ha disposto regole precise con riferimento al rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo dei paesi aderenti come ad esempio nel Trattato di Maastricht. L’Unione ha mancato di utilizzare regole certe per la quantificazione degli aiuti di Stato nell’economia nazionale. L’identificazione di una casistica per gli aiuti di Stato è mancante. Il capitalismo necessita della presenza anche dello Stato. Le regioni economiche europee aventi tassi di crescita economica elevati sono caratterizzate anche da un intervento centralista dello Stato. L’unione europea rischia di trasformare la politica degli aiuti di Stato in una misura regressiva volta ad aiutare le aree e i settori ad alto reddito pro capite e a deprimere le aree a basso reddito pro capite. La definizione di una strategia politica dell’interventismo statale nell’Unione Europea deve avvenire nella predisposizione di tre elementi fondamentali: un aspetto quantitativo relativo all’entità dell’intervento dello Stato, una casistica definita, un principio di progressività fondato sul reddito pro capite dell’area d’intervento.
La Golden Rule europea sugli aiuti di Stato
L’Unione Europea ha disposto “regole d’oro” come nel caso del Trattato di Maastricht. L’ammontare dell’intervento statale nell’economia nazionale è privo di una indicazione quantitativa. Le regole quantitative applicate alla finanza pubblica degli stati hanno la caratteristica di essere: facili da applicare, controllabili, introdurre elementi di contabilità comune volti alla creazione di un bilancio di Stato europeo. La golden rule può anche essere legata alla perdita di prodotto interno lordo pro- capite realizzata in una certa area a seguito della realizzazione di un “black swan” ovvero di un evento catastrofico comprimente il valore aggiunto anche a livello sistemico con probabilità di attacco dell’economia complessiva attraverso il contagio finanziario. Occorre anche predisporre delle istituzioni nuove per realizzare l’intervento dello Stato attraverso l’impegno diretto dell’Unione Europea.
La casistica degli interventi di Stato ammissibili secondo l’Unione Europea
L’Unione Europea può disporre una casistica per individuare i casi di aiuti di stato. La casistica è comprensiva sia dei settori di intervento sia del valore della spesa pubblica ammissibile in base ad un criterio quantitativo fondato sull’analisi del prodotto interno lordo pro capite dell’area di intervento e sulla base degli occupati interessati. Il settore bancario può rientrare nella casistica degli interventi di Stato ammessi dall’Unione Europea. Il reddito pro capite è comprensivo anche del risparmio pro capite. La riduzione del risparmio pro capite dovuta ad una crisi bancaria anche locale può comportare un intervento dello Stato. La materia bancaria risulta rischiosa per l’intervento dello Stato data la massa di debiti sottoscritti dagli istituti di credito nei confronti del mercato finanziario. L’intervento dello Stato nel settore bancario deve avvenire anche attraverso una attività di regolamentazione e di controllo oltre i limiti imposti dalla Banca Centrale per verificare l’esistenza di argini all’investimento nei mercati finanziari da parte degli istituti di credito. Lo Stato può intervenire, anche a livello di spesa pubblica e regolamentazione, per impedire lo spostamento dei risparmi delle banche nel mercato finanziario. La distinzione tra banche e mercato finanziario deve essere posta nell’interesse della sostenibilità finanziaria come bene pubblico da tutelare per difendere i redditi e i risparmi dei cittadini.
Il principio di progressività nell’intervento dello Stato
L’intervento dello Stato nell’economia deve essere ispirato ad un principio di progressività. La storia degli interventi pubblici statali mostra una certa connivenza tra imprese di grandi dimensioni installate ina ree a forte crescita economica. Lo stato tende ad investire in misura maggiore nelle aree economiche del paese ad alto valore aggiunto. L’aiuto di Stato può portare ad una crescita della diseguaglianza sociale. I divari regionali possono diventare enormi. La qualità della vita dei cittadini abitanti in aree differenziate del paesi può subire l’effetto negativo della diseguaglianza anche nel settore degli aiuti di Stato. Il principio della progressività applicato agli aiuti di Stato comporta una crescita dell’economia nelle aree economiche a crescita lenta per introdurre un principio di eguaglianza in grado di sviluppare con uniformità il mercato.
Il rapporto tra perdita del prodotto interno lordo pro capite e numero di occupati
Un criterio da tenere in considerazione per la definizione della Golden Rule necessaria per gli interventi degli aiuti di Stato è il rapporto tra perdita di prodotto interno lordo procapite e variazione negativa del numero degli occupati. L’intervento pubblico deve mirare sia ad incrementare il prodotto interno lordo sia ad incrementare il numero degli occupati. L’intervento pubblico può quindi mirare a salvaguardare l’occupazione attraverso una azione volta ad offrire risorse finanziare nei confronti dei settori in crisi. L’intervento dello stato deve avvenire nella salvaguardia dell’economia reale, della dimensione sociale e relazionale dell’economia. Lo stato attraverso il salvataggio delle imprese rilevanti in una certa area economica salva anche la popolazione, i redditi delle famiglie, e dà prospettive nuove di crescita economica misurate attraverso il reddito pro-capite. Lo Stato è sia firm-saver sia community-saver. Nel salvare la comunità attraverso la tutela del reddito pro capite lo Stato salva anche gli individui, le famiglie, le organizzazioni, le istituzioni e le relazioni tra i soggetti economici.
Il ruolo dello Stato nell’economia attraverso il salvataggio delle imprese
Il ruolo dello Stato è fondamentale nell’economia. Nelle economie evolute il ruolo dello Stato può arrivare fino al 50% del Pil a livello di spesa pubblica. La presenza dello Stato nei salvataggi delle imprese può consentire di evitare una crisi finanziaria anche strutturale. Tuttavia la valutazione dell’opportunità di un intervento pubblico deve avvenire sia sotto il punto di vista quantitativo, sia sotto il punto di vista qualitativo nella ricerca degli elementi di una azione volta a migliorare la performance delle imprese per incrementare il prodotto interno lordo e l’occupazione.
L’Unione Europea può creare delle istituzioni autonome per l’intervento pubblico
L’Unione Europea può intervenire attraverso istituzioni autonome per governarne l’intervento statale dell’economia. Una organizzazione leggera in grado di valutare gli aspetti quantitativi dell’intervento, l’impatto sul reddito-pro capite e sull’occupazione. Gli Stati possono fare domanda di accesso all’intervento pubblico, presentare dei piani di azione, concordati anche con le imprese, i sindacati, i maggiori stakeholder. L’Unione Europea analizza, valuta gli aspetti metrici della domanda, l’impegno finanziario, la probabilità del rischio di crisi sistemica o di recessione di settore, e dispone i piani di intervento. L’intervento è erogato dall’Unione Europea. Il controllo del finanziamento, e l’eventuale piano per la restituzione, viene assegnato all’Unione Europea. Gli Stati membri e i main stakeholders possono essere costituiti in comitato per verificare la realizzazione dell’intervento pubblico. L’Unione Europea può organizzare l’istituzione nella forma di una Agenzia Europea per gli Interventi Pubblici con poteri anche esecutivi nei confronti dei finanziati per la realizzazione dei piani di finanziamento.


mercoledì 20 gennaio 2016

L’approccio stakeholder per la governance d’impresa



[…] aprire un serio dibattito sulla distinzione fra l’interesse dell’impresa in sé e quello dei soci, e sul ruolo in materia del consiglio di amministrazione; […] discernere con cura fra i due e, oltre certe dimensioni il ruolo dell’impresa nella società richiede di privilegiare il primo.” (Salvatore Bragantini

Il ruolo del consiglio di amministrazione, del management, degli azionisti rispetto all’interesse dell’impresa deve essere analizzato sulla base delle relazioni esistenti tra gli organi istituzionali preposti con riferimento agli obbiettivi statutari dell’azienda. Le imprese sono delle realtà complesse. L’approccio della shareholder value è in grado di funzionalizzare l’interesse dell’impresa verso l’incremento del valore degli azionisti. Tuttavia la “reductio ad unicum” realizzata attraverso la shareholder value maximization tiene in considerazione l’interesse degli azionisti intesi come unico main stakeholder ovvero come stakeholder egemonico portatore di interesse. L’interesse dell’impresa in astratto è difficile da individuare. La definizione di un interesse in astratto dell’impresa può portare a forme meta-aziendali, di identificazione di una meta-identità dell’impresa di là da venire, una sorta di destino ineluttabile dell’organizzazione produttiva. L’impresa, per quanto sia mossa anche da motivazioni di carattere in un certo senso poetico e meta-storico, permane in una dimensione della realtà. La realtà è il campo di azione dell’impresa. L’impresa è una forma di organizzazione economica in grado di modificare la struttura dell’ambiente culturale, politico, legislativo, sociale. L’attività dell’impresa è svolta nella dimensione reale. I rapporti e le relazioni posti in essere dall’impresa sono reali e vanno considerati per il significato anche immediato rispetto alla progettazione dei piani produttivi aziendali.
Il tenue conflitto tra Cda e azionisti
La relazione tra management e azionisti tende ad essere orientata ad un tenue conflitto. Il cda è indicato dall’assemblea degli azionisti. Gli azionisti sono organizzati in sindacati, in gruppi, esprimenti diversi interessi. Gli investitori di una big company sono diversificati. L’idea di considerare gli azionisti come un unico gruppo mono-interessato contrasta con la composizione dei gruppi all’interno dell’assemblea degli azionisti. Gli azionisti appartengono a diversi gruppi di riferimento. La probabilità di trovare un unico elemento per creare unità nella compagine azionaria diversificata è bassa. L’idea di allineare l’interesse degli azionisti attraverso la massimizzazione del valore degli azionisti trova opposizione nei piani degli azionisti. Gli azionisti delle grandi aziende quotate sono in genere aziende operanti nello stesso settore dell’impresa partecipata o in settori differenti perseguenti un obbiettivo di diversificazione. Se gli azionisti sono rappresentanti di imprese operanti nello stesso settore allora essi possono opporsi alla realizzazione di scalate, di fusioni, di acquisizioni per rimanere nel potere di mercato dell’azienda originaria. In questo caso la massimizzazione del valore all’azionista serve a poco, per non dire a nulla. Se invece l’azionista ha investo per realizzare una diversificazione rispetto al proprio business principale allora la massimizzazione del valore dell’azionista può avere una qualche presa: l’azionista diversificante l’investimento può valutare il ritorno di valore sull’azione interessante in confronto al valore investito nel core business.
Se l’azionista è una SPA realizzante investimento in una SPA concorrente.
L’azionista può investire in una spa nello stesso settore di riferimento. Per esempio una impresa farmaceutica può investire in una impresa farmaceutica, una banca in un’altra banca, etc. Una impresa farmaceutica a volte investe in un’altra impresa farmaceutica con una funzione strategica: sottrarre l’investimento medesimo ad un concorrente e migliorare la posizione rispetto ad una successiva potenziale opportunità di maggiore controllo societario volta all’acquisizione di maggiore potere di mercato. L’investimento può essere privo delle funzioni di controllo, di management e può essere realizzato anche in misura minoritaria.  In questo caso la presenza di una fusione, la prospettiva della vendita dell’azienda può essere valutata anche in senso negativo. Per esempio nel caso di una impresa farmaceutica realizzante un investimento in una altra impresa farmaceutica la notizia di una acquisizione può portare l’azionista a considerare la condizione di mercato complessiva a seguito della fusione. Il mercato potrebbe presentare un indice di concentrazione elevato e l’azionista potrebbe valutare il compenso versato a titolo di shareholder value come avente valore scarso rispetto alla perdita di mercato proveniente dalla riorganizzazione aziendale. Nel caso di SPA realizzante un investimento in una SPA concorrente lo shareholder value massimizzato deve essere analizzato in relazione al valore del posizionamento di mercato dell’azionista a seguito del processo di acquisizione o fusione.
 Se l’azionista è interessato alla diversificazione dell’investimento.
Se l’azionista è un investitore interessato alla diversificazione dell’investimento è probabile abbia maggiore attenzione alla shareholder value maximization. In questo caso l’azionista è interessato ad una dimensione monetaria del valore dell’azione. L’attività principale dell’azionista è diversificata rispetto all’investimento azionario. L’ideologia della massimizzazione dello shareholder value può incontrare il favore dell’azionista in cerca di diversificazione.
 La compagine degli azionisti è diversificata.
Gli azionisti hanno una composizione diversificata. L’approccio della shareholder value maximization e privo di consistenza già all’interno della compagine degli azionisti. L’idea di uniformare gl io azionisti ad un unico interesse appare privo di significato per la mancanza di una condizione di allineamento sostanziale. Allineare gli azionisti ad un unico interesse può  essere difficile data la condizione di partenza degli azionisti aventi diverse funzioni di utilità. La massimizzazione del valore degli azionisti manca di identificare gli interessi diversificati degli azionisti. Gli interessi diversificati degli azionisti rispondenti a differenti funzioni di utilità possono essere ricomposti con un approccio stakeholder applicato alla compagine azionaria.
 L’approccio stakeholder all’interno della compagine azionaria.
Gli azionisti hanno diversi interessi. Gli interessi diversificati degli azionisti possono essere ricomposti attraverso una struttura di management volta alla stakeholder value. Un approccio stakeholder all’interno della compagine azionaria può portare il cda a considerare il complesso degli interessi rappresentati dagli azionisti.
 Amministratori ottimizzanti il percorso di carriera.
Gli amministratori di una società possono essere interessati ad ottimizzare il percorso di carriera individuale. Gli amministratori possono guadagnare in potere personale, soldi, perks, benefits in caso di vendita dell’azienda ad un competitore ed avere rassicurazioni sul ruolo futuro svolto. Gli amministratori possono avere interessi a mettere in campo delle attività volte alla vendita dell’azienda a detrimento dell’interesse dell’impresa. Il controllo sugli amministratori può essere esercitato dalla compagine azionaria. La varietà della tipologia degli interessi degli azionisti può portare ad un controllo efficiente nei confronti degli amministratori. Gli amministratori dell’impresa possono essere stati nominati da compagini azionarie diversificate. La riduzione degli interessi dei partecipanti del Cda ad un unico interesse mediato dalla shareholder value è priva di efficienza. I membri del Cda hanno interessi diversificati. Gli interessi diversificati dei membri del Cda possono essere ottimizzati con un approccio di tipo stakeholder.
 L’approccio stakeholder al di fuori della compagine azionaria.
L’approccio stakeholder può essere realizzato anche al di fuori della compagine azionaria, con riferimento ai contratti posti in essere dall’impresa per l’acquisto della forza lavoro, delle materie prime, per l’ottenimento delle risorse finanziaria. Gli stakeholder aventi il ruolo di controparte creditizia o debitoria nel rapporto negoziale con l’impresa possono essere considerati come stakeholder qualificati o di primo livello. Gli stakeholder possono avere anche un interesse generico rispetto alla gestione aziendale come per esempio accade per i cittadini interessati ad avere imprese in grado di rispettare le norme sul rispetto dell’ambiente oppure ai risparmiatori interessati alla stabilità finanziaria del sistema bancario. Gli stakeholder aventi un interesse legittimo nella gestione corretta dell’impresa possono esercitare forme di pressione anche politica attraverso le istituzioni pubbliche con interventi sia nella compagine azionaria, sia nel consiglio di amministrazione.
L’impresa come fascio di contratti.
L’interesse dell’impresa è la risultante di un complesso sistema di relazioni interne, esterne e collaterali all’organizzazione produttiva. La teoria istituzionalista dell’impresa descrive l’impresa come un fascio di contratti. La convenienza a concludere un contratto all’interno dell’organizzazione è maggiore della convenienza a concludere un contratto nel mercato. Tale convenienza alla contrattazione interna all’impresa cresce con il crescere della considerazione degli stakeholders da parte sia del consiglio di amministrazione sia della compagine degli azionisti.