“Nel frattempo - cioè, negli ultimi vent’anni - i lavoratori del terzo
tipo hanno inventato nuove occupazioni, hanno sfruttato il digitale per creare
mansioni prima sconosciute, coprono aree che vanno dalle cattedre universitarie
alle mansioni più semplici. E nel frattempo - sempre negli ultimi vent’anni -
la gestione separata si allargata a comprendere, accanto a professionisti con
partita Iva e collaboratori non fittizi, categorie come gli spedizionieri
doganali non dipendenti, i destinatari di assegni di ricerca, i medici con
contratto di formazione specialistica e altro ancora. Su tutto questo arriva
ora il Jobs act, a sparigliare e a chiamare almeno mezzo milione di
collaboratori e i loro committenti a ripensare inquadramento e contribuzioni.”
(di Mauro Meazza - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/R1OcIJ)
Il novero dei lavoratori
collaboratori dotati di partita Iva è stato allargato sempre di più. Il
significato stesso del lavoro autonomo è stato messo in discussione poiché
molti dei lavoratori dotati di partita iva sono in realtà dei lavoratori
dipendenti dotati di un unico committente. La fattispecie giuridica è aggravata
dalla condizione di subalternità dei lavoratori autonomi data la loro
difficoltà di realizzare un reddito in un mercato libero.
Il lavoro autonomo e la questione fiscale. La scelta di operare con
collaboratori dotati di partita Iva è realizzata soprattutto per ragioni di
carattere fiscale ma anche per motivazioni legate alla facilità dell’organizzazione
del lavoro all’interno delle aziende. Il legislatore ha consentito la
distorsione del lavoratori autonomo in realtà operante come un lavoratore
dipendente. Per ovviare alla questione e per avere quindi una dichiarazione
fiscale e pensionistica del lavoratore che sia coerente rispetto alle
condizioni di lavoro è necessario realizzare una riforma del mercato del lavoro
che sia incentrata sulla riformulazione del contratto di lavoro subordinato. Il
cambiamento del capitalismo a livello globale ha portato ad una modificazione
strutturale della condizione di organizzazione interna delle imprese. Tuttavia
il passaggio dall’industrialismo alla terziarizzazione del settore dei servizi
è avvenuto nella persistenza di organizzazioni che, forse anche in misura
maggiore rispetto al passato, sono fondate sulla centralità del capitale umano.
I settore della consulenza, come anche la finanza, la ricerca e lo sviluppo
sono organizzati in forma anche di grandi imprese a volte delle vere e proprie
SPA in grado di operare a livello internazionale come dei global players. I
contratti di lavoro all’interno delle aziende operanti nel settore dei servizi
sono molto spesso di carattere “autonomo” o a che di collaborazione anche se in
realtà celano un rapporto di lavoro subordinato. E’ necessario porre rimedio
alla questione attraverso una stringente organizzazione delle regole del
mercato del lavoro per i settori “Nuovi” dell’economia nazionale, europea e globale.
Il contratto del settore dei servizi. E’ necessario prevede un
nuovo contratto di categoria che possa anhce consentire ai lavoratori di
riorganizzarsi, ovvero un contratto per il settore dei servizi. L’economia
terziarizzata ha portato alla creazione di una serie di attività lavorative
nuove, anche se a volte di profilo incerto, caratterizzate da mansioni aventi
anche contenuto professionale, tecnologico. I servizi sono fondamentali nell’economia
contemporanea dei paesi avanzati. La ripresa anche dell’industrializzazione,
legata all’abbassamento dei costi dell’energia, dipende anche dai servizi in
grado di migliorare l’efficienza delle organizzazioni economiche produttive.
Tuttavia il lavoratore del settore dei servizi appare precarizzato,
marginalizzato, in una condizione di difficoltà nell’esercizio continuativo
dell’attività prestazionale a causa soprattutto della mancanza di un quadro
normativo chiaro per il settore dei servizi. La mancata previsione di un quadro
normativo per i servizi rende anche difficile la realizzazione del contenuto
dello statuto dei lavoratori.
L’eliminazione dei contratti di collaborazione. I contratti di
collaborazione possono essere eliminati attraverso la realizzazione di
fattispecie normative fondate sul modello del lavoro subordinato e
caratterizzate dalla presenza di una bassa tassazione e di ampi margini di
flessibilità per gli orari di lavoro, gli obbiettivi professionali raggiunti.
La tassazione del lavoro è eccessiva per un paese volto alla terziarizzazione
dell’economia. I lavoratori del terzo settore, svolgono lavori meno usuranti di
quelli dell’industria, dell’edilizia o dell’agricoltura, e quindi possono
permanere nello svolgimento della vita lavorativa per un periodo tendenzialmente
più lungo e quindi con una capacità elevata di partecipare al processo di
finanziamento degli enti previdenziali. Inoltre è necessario considerare che
molti lavoratori sono anche iscritti agli albi professionali anche se in realtà
realizzano una attività di lavoro subordinato mascherata da svolgimento dell’attività
professionale. Sarebbe quindi necessario riportare il sistema della contrattualistica
del lavoro a due grandi gruppi: il lavoro autonomo e il lavoro dipendete. Ogni
tipologia intermedia andrebbe eliminata anche per motivazioni di
semplificazione dell’apparato fiscale e pensionistico. Quando un soggetto
dotato di partita iva ha solo un committente, realizza una attività
semplificata, potrebbe anche essere considerato di fatto come legato da un
contratto di lavoro subordinato al committente, a meno che non esistano i
requisiti dello svolgimento dell’attività imprenditoriale, ovvero l’organizzazione
dei mezzi per l’esercizio dell’attività di impresa. I contratti di
collaborazione possono quindi essere in effetti eliminati come dovrebbero
essere eliminati ogni tipologia di contratti produttivi di precarizzazione.
La precarizzazione da eliminare. I paesi occidentali hanno
conosciuto una forte crescita economica nel periodo tra il 1950 e il 1972
ovvero nella cosiddetta “golden age”.Durante il periodo d’oro dell’economia
occidentale la crescita economica è stata accompagnata anche dalla crescita dei
diritti del lavoro. Il numero diei contratti a tempo indeterminato sia nelle
imprese private industriali che nella pubblica amministrazione è cresciuto. La
crescita del numero dei contratti a tempo indeterminato aveva portato alla
crescita dei consumi e quindi all’entrata nell’economia dei servizi attuale.
Tuttavia la fuoriuscita dallo schema della contrattualistica a tempo indeterminato
è un forte rischio per la società occidentali. La bassa crescita economica è
accompagnata da una precarizzazione dei contratti di lavoro. La precarizzazione
dei contratti di lavoro porta ad una riduzione dei consumi e alla stagnazione
dell’economia interna con una condizione di stallo complessivo. La probabilità
di vivere un periodo di crescita economica caratterizzato da un tasso tra il 2
e il 3 percento come è accaduto durante la golden age appare lontano, improbabile
impossibile. Solo una ripresa delle politiche economiche volte alla lotta al
precariato e alla crescita del numero dei lavoratori a tempo indeterminato nei
settori privati e nell’industria può comportare una crescita economica
attraverso la ripresa dei consumi. I governi europei, di destra, di centro e di
sinistra dovrebbero prestare maggiore attenzione alle questioni dell’occupazione.
Solo lavoratori in grado di potere avere una retribuzione adeguata, in un
contratto di lavoro di lungo periodo, possono sostenere, attraverso i consumi l’economia,
e nello stesso tempo, partecipare allo sviluppo anche culturale e civile della
nazione. La lotta al precariato dovrebbe essere pertanto un obbiettivo delle
istituzioni ancor prima di essere un obbiettivo politico.
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