lunedì 4 gennaio 2016

I precari producono una crescita economica bassa

Nel frattempo - cioè, negli ultimi vent’anni - i lavoratori del terzo tipo hanno inventato nuove occupazioni, hanno sfruttato il digitale per creare mansioni prima sconosciute, coprono aree che vanno dalle cattedre universitarie alle mansioni più semplici. E nel frattempo - sempre negli ultimi vent’anni - la gestione separata si allargata a comprendere, accanto a professionisti con partita Iva e collaboratori non fittizi, categorie come gli spedizionieri doganali non dipendenti, i destinatari di assegni di ricerca, i medici con contratto di formazione specialistica e altro ancora. Su tutto questo arriva ora il Jobs act, a sparigliare e a chiamare almeno mezzo milione di collaboratori e i loro committenti a ripensare inquadramento e contribuzioni.” (di Mauro Meazza - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/R1OcIJ)
Il novero dei lavoratori collaboratori dotati di partita Iva è stato allargato sempre di più. Il significato stesso del lavoro autonomo è stato messo in discussione poiché molti dei lavoratori dotati di partita iva sono in realtà dei lavoratori dipendenti dotati di un unico committente. La fattispecie giuridica è aggravata dalla condizione di subalternità dei lavoratori autonomi data la loro difficoltà di realizzare un reddito in un mercato libero.
Il lavoro autonomo e la questione fiscale. La scelta di operare con collaboratori dotati di partita Iva è realizzata soprattutto per ragioni di carattere fiscale ma anche per motivazioni legate alla facilità dell’organizzazione del lavoro all’interno delle aziende. Il legislatore ha consentito la distorsione del lavoratori autonomo in realtà operante come un lavoratore dipendente. Per ovviare alla questione e per avere quindi una dichiarazione fiscale e pensionistica del lavoratore che sia coerente rispetto alle condizioni di lavoro è necessario realizzare una riforma del mercato del lavoro che sia incentrata sulla riformulazione del contratto di lavoro subordinato. Il cambiamento del capitalismo a livello globale ha portato ad una modificazione strutturale della condizione di organizzazione interna delle imprese. Tuttavia il passaggio dall’industrialismo alla terziarizzazione del settore dei servizi è avvenuto nella persistenza di organizzazioni che, forse anche in misura maggiore rispetto al passato, sono fondate sulla centralità del capitale umano. I settore della consulenza, come anche la finanza, la ricerca e lo sviluppo sono organizzati in forma anche di grandi imprese a volte delle vere e proprie SPA in grado di operare a livello internazionale come dei global players. I contratti di lavoro all’interno delle aziende operanti nel settore dei servizi sono molto spesso di carattere “autonomo” o a che di collaborazione anche se in realtà celano un rapporto di lavoro subordinato. E’ necessario porre rimedio alla questione attraverso una stringente organizzazione delle regole del mercato del lavoro per i settori “Nuovi” dell’economia nazionale, europea e globale.
Il contratto del settore dei servizi. E’ necessario prevede un nuovo contratto di categoria che possa anhce consentire ai lavoratori di riorganizzarsi, ovvero un contratto per il settore dei servizi. L’economia terziarizzata ha portato alla creazione di una serie di attività lavorative nuove, anche se a volte di profilo incerto, caratterizzate da mansioni aventi anche contenuto professionale, tecnologico. I servizi sono fondamentali nell’economia contemporanea dei paesi avanzati. La ripresa anche dell’industrializzazione, legata all’abbassamento dei costi dell’energia, dipende anche dai servizi in grado di migliorare l’efficienza delle organizzazioni economiche produttive. Tuttavia il lavoratore del settore dei servizi appare precarizzato, marginalizzato, in una condizione di difficoltà nell’esercizio continuativo dell’attività prestazionale a causa soprattutto della mancanza di un quadro normativo chiaro per il settore dei servizi. La mancata previsione di un quadro normativo per i servizi rende anche difficile la realizzazione del contenuto dello statuto dei lavoratori.
L’eliminazione dei contratti di collaborazione. I contratti di collaborazione possono essere eliminati attraverso la realizzazione di fattispecie normative fondate sul modello del lavoro subordinato e caratterizzate dalla presenza di una bassa tassazione e di ampi margini di flessibilità per gli orari di lavoro, gli obbiettivi professionali raggiunti. La tassazione del lavoro è eccessiva per un paese volto alla terziarizzazione dell’economia. I lavoratori del terzo settore, svolgono lavori meno usuranti di quelli dell’industria, dell’edilizia o dell’agricoltura, e quindi possono permanere nello svolgimento della vita lavorativa per un periodo tendenzialmente più lungo e quindi con una capacità elevata di partecipare al processo di finanziamento degli enti previdenziali. Inoltre è necessario considerare che molti lavoratori sono anche iscritti agli albi professionali anche se in realtà realizzano una attività di lavoro subordinato mascherata da svolgimento dell’attività professionale. Sarebbe quindi necessario riportare il sistema della contrattualistica del lavoro a due grandi gruppi: il lavoro autonomo e il lavoro dipendete. Ogni tipologia intermedia andrebbe eliminata anche per motivazioni di semplificazione dell’apparato fiscale e pensionistico. Quando un soggetto dotato di partita iva ha solo un committente, realizza una attività semplificata, potrebbe anche essere considerato di fatto come legato da un contratto di lavoro subordinato al committente, a meno che non esistano i requisiti dello svolgimento dell’attività imprenditoriale, ovvero l’organizzazione dei mezzi per l’esercizio dell’attività di impresa. I contratti di collaborazione possono quindi essere in effetti eliminati come dovrebbero essere eliminati ogni tipologia di contratti produttivi di precarizzazione.
La precarizzazione da eliminare. I paesi occidentali hanno conosciuto una forte crescita economica nel periodo tra il 1950 e il 1972 ovvero nella cosiddetta “golden age”.Durante il periodo d’oro dell’economia occidentale la crescita economica è stata accompagnata anche dalla crescita dei diritti del lavoro. Il numero diei contratti a tempo indeterminato sia nelle imprese private industriali che nella pubblica amministrazione è cresciuto. La crescita del numero dei contratti a tempo indeterminato aveva portato alla crescita dei consumi e quindi all’entrata nell’economia dei servizi attuale. Tuttavia la fuoriuscita dallo schema della contrattualistica a tempo indeterminato è un forte rischio per la società occidentali. La bassa crescita economica è accompagnata da una precarizzazione dei contratti di lavoro. La precarizzazione dei contratti di lavoro porta ad una riduzione dei consumi e alla stagnazione dell’economia interna con una condizione di stallo complessivo. La probabilità di vivere un periodo di crescita economica caratterizzato da un tasso tra il 2 e il 3 percento come è accaduto durante la golden age appare lontano, improbabile impossibile. Solo una ripresa delle politiche economiche volte alla lotta al precariato e alla crescita del numero dei lavoratori a tempo indeterminato nei settori privati e nell’industria può comportare una crescita economica attraverso la ripresa dei consumi. I governi europei, di destra, di centro e di sinistra dovrebbero prestare maggiore attenzione alle questioni dell’occupazione. Solo lavoratori in grado di potere avere una retribuzione adeguata, in un contratto di lavoro di lungo periodo, possono sostenere, attraverso i consumi l’economia, e nello stesso tempo, partecipare allo sviluppo anche culturale e civile della nazione. La lotta al precariato dovrebbe essere pertanto un obbiettivo delle istituzioni ancor prima di essere un obbiettivo politico. 

Nessun commento:

Posta un commento