“Pessimo
auspicio per la stabilità sociale e politica in Germania come in Europa. «Nel
2016 è in gioco la coesione della nostra società, non dobbiamo farci dividere»
aveva detto Merkel nel discorso di fine anno. Dopo Colonia potrebbe
ricominciare anche il ballo sulla sua poltrona. Comincia male questo 2016 che
recapita subito all’Europa l’ennesimo certificato di ingovernabilità e
impotenza collettiva, tra divisioni e incapacità di penetrare il buio oltre la
siepe. Non comincia bene neanche per l’Italia, privata da un colpo di palazzo
del suo esperto immigrazione nel gabinetto Juncker. Perché? Forse urge
riflessione anche sul nostro modo di fare politica in Europa.” ( Adriana
Cerretelli - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/MTYs2L)
L’immigrazione resta una delle grandi problematiche
dell’Unione Europa che sembrano impossibili da risolvere. L’idea stessa di
fermare l’immigrazione potrebbe essere sostanzialmente sbagliata ed in ogni
modo priva di possibilità di attuazione. Inoltre occorre considerare che dato l’invecchiamento
della popolazione occidentale e soprattutto dei paesi mediterranei dell’Unione
Europea, l’immigrazione sembra l’unica forza in grado di dare nuovo slancio ad
un assetto demografico che pare avviato verso un inevitabile declino e per sostenere
anche quei sistemi di welfare state residuali che ancora resistono a stento.
Una politica
europea per l’immigrazione. L’esistenza di un piano europeo dell’immigrazione
fatica a concretizzarsi a causa della presenza di contrapposizioni
politiche-ideologiche ma anche per la contrarietà della popolazione rispetto
alla questione degli immigrati. In effetti l’immigrazione risulta essere molto
sentita nelle zone di approdo degli immigrati dove dinanzi alle tragedie del
mare ed anche dinanzi alle difficoltà oggettivie prodotte la popolazione chiede
degli interventi sempre più forti volti a fermare il fenomeno dell’immigrazione.
Una politica europea dell’immigrazione appare del tutto priva di efficacia
soprattutto perché il coordinamento tra diversi stati e diverse polizie
nazionali sembra rendere i programmi politici europei privi di fattualità. L’Unione
Europea dovrebbe iniziare a farsi carico non solo delle politiche ma anche
delle strutture necessarie per la realizzazione delle politiche prospettate. L’immigrazione
può essere l’occasione per creare un corpo di polizia doganale dell’Unione Europea
impegnato nel contrasto all’immigrazione, al traffico di esseri umani e al
traffico anche di beni e prodotti a livello internazionale. Il corpo di polizia
doganale dell’Unione Europea dovrebbe essere autonomo, auto-finanziato, avente
una capacità esclusiva di azione e con una condizione di superiorità gerarchica
e funzionale disposta per legge nei confronti delle polizie locali con le quali
è anche possibile realizzare dei piani di intervento comune.
Gli immigrati come forza demografica fondamentale.
Gli immigrati vengono spesso definiti come dei soggetti in grado di rubare i
posti di lavoro ai residenti. Tuttavia in una economia come quella europea
volta al settore dei servizi con un valore sempre minore dell’agricoltura e con
un settore edilizio in fortissima crisi gli immigrati dovrebbero essere
considerati come una risorsa per rilanciare alcuni settori. In genere gli
immigrati poco scolarizzati lavorano in agricoltura, nell’edilizia, in attività
di carattere industriale. La popolazione europea è orientata ad un certo
invecchiamento e pertanto le attività che gli immigrati sono disposti a
svolgere in realtà in assenza di immigrati semplicemente rimarrebbe priva di
manodopera. Il futuro di settori come l’agricoltura e l’edilizia, delle piccole
imprese artigiane, dipende in modo fondamentale dalla presenza di immigrati e
dalla capacità delle politiche economiche di realizzare una certa integrazione.
Inoltre gli immigrati hanno dimostrato anche di essere in grado di svolgere
attività di carattere imprenditoriale e commerciali e si pongono a volte come
dei contributori sia del sistema fiscale che del sistema previdenziale nell’Unione
Europea.
Il costo
delle politiche dell’immigrazione. Il costo delle politiche volte all’accoglienza
degli immigrati è legato in misura strutturale non soltanto all’accoglienza ma
anche alla questione della formazione, dell’educazione, del sostegno all’occupazione
e alla sanità. Tuttavia la domanda di welfare state che viene promozionata
dagli immigrati può consentire agli stati europei di fare in modo che le
istituzioni sociali possano continuare ad esistere e non siano invece
privatizzate od eliminate del tutto. L’aumento della diseguaglianza economica
all’interno dei paesi dell’Unione Europea potrebbe essere mitigata dalla
presenza del welfare state. Tuttavia il welfare state viene considerato un
apparato dello Stato in disuso e privo di utilità. La presenza di immigrati può
porre, in forma nuova, la questione della realizzazione di politiche economiche
sociali volte alla realizzazione del welfare state non soltanto per gli
immigrati ma anche per i residenti attraverso la rimozione delle
diseguaglianze. Il costo dell’integrazione potrebbe certo ricadere sul
contribuente e portare a delle crescite del livello della tassazione. Tuttavia
i costi potrebbero portare anche a maggiori vantaggi nel senso di formare gli
immigrati alla lingua, al sistema economico europeo e dare loro anche degli
strumenti professionali per l’inserimento nel mercato del lavoro. Il costo in
termini di imposte sostenuto dai contribuenti potrebbe in realtà incontrare il
valore prodotto dagli immigrati in termini di maggiore coesione sociale, di
maggiore produttività nei settori ad alto utilizzo di manodopera.
La questione
etnico-religiosa. Una delle questioni dell’immigrazione fa riferimento alle
diversità etnico-religiose prodotte dall’immigrazione. A volte si propone
questo tema come un problema. Occorre considerare che la civiltà
euro-mediterranea è costituita sul meltin pot culturale anche se all’interno
della statualità e del potere politico esercitato attraverso i mezzi dello
Stato. Le culture del medioriente hanno sempre trovato nell’Europa una sponda
di approdo. La cultura europea può essere intesa attraverso le diversità
culturali. Inoltre occorre considerare che la cultura europea è fondata sullo Stato
di diritto ovvero sul complesso delle regole, nelle quali rientra anche la
libertà religiosa, e pertanto l’Unione Europea non può che accogliere i
migranti e dare loro delle possibilità per l’inserimento. Del resto la maggior
parte dei problemi dei quali soffrono i lavoratori in termini di salario ed i
cittadini in termini di servizi prodotti dallo Stato ed in generale i problemi
della diseguaglianza esisterebbero anche in assenza degli immigrati. I problemi
dei lavori e dei cittadini sono prodotti da scelte aziendali e da scelte
politiche sbagliate che diventano insostenibili con la presenza dell’immigrazione.
L’immigrazione è allora una forza che può consentire il cambiamento e la
mobilitazione anche dei lavoratori e dei cittadini residenti per ottenere una
società più giusta, orientata alla diseguaglianza, nella difesa del welfare
state e delle condizioni di benessere condiviso. La questione etnico-religiosa
può essere una risorsa in una Unione Europea già caratterizzata da diversità
linguistiche, etniche e religiose eppure, forse proprio per questo, impegnata
in una attività politica ed istituzionale di dialogo anche difficile eppure in
grado di dare senso al regime democratico.
Le classi
dirigenti democratiche alla prova del dialogo. Le classi dirigenti dell’unione
europea per quanto facciamo parte di paesi che sono sostanzialmente democratici
hanno dimostrato tuttavia di riuscire a sopravvivere come élite finanziarie,
burocratiche, amministrative, imprenditoriali. La popolazione residente molto
spesso è assuefatta ad un ordinamento economico che si ritiene impossibile da
cambiare anche se questa accettazione supina dell’ordine sociale contrasta con
l’idea stessa di democrazia. L’arrivo degli immigrati pone con forza la
questione sociale. Una alleanza tra lavoratori, cittadini ed immigrati potrebbe
consentire di migliorare l’assetto democratico dell’Unione Europea e produrre dei
cambiamenti anche nell’elitismo delle classi dirigenti volti ad accettare l’investimento
sociale per la rimozione delle diseguaglianze e la creazione di maggiori
opportunità.
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