venerdì 28 novembre 2014

L’onda lunga del secolo breve

La crisi economica e finanziaria sembra essere definitivamente alle spalle negli Usa ?
In realtà sembra che la crisi economia sia passata negli Stati Uniti.
Il paese ha ripreso a crescere nel prodotto interno lordo, il tasso di disoccupazione si è ridotto, e la sostenutapolitica monetaria della banca centrale sembra aver offerto adeguata capacità finanziaria tanto alle banche quanto ai mercati finanziari.
Inoltre la ripresa della produzione industriale insieme con la sempre maggiore attività estrattiva di greggio ed insieme con un piano per il rilancio anche della piccola e mediaimpresa sembrano aver completato il quadro di un paese che è venuto fuori dalla recessione e si avvia a riprendere il suo cammino di crescita economica.
Ma che cosa è cambiato davvero dal periodo precedente alla crisi del 2007 ad oggi nel sistema americano  possiamo dire effettivamente che si sono verificate delle condizioni di cambio strutturale del sistema economico ?
E’ difficile immaginare che i mercati finanziari, che le grandi assicurazioni e il sistema bancario abbiano imparato la lezione.  Se infatti i derivati e le securitization sono stati in un certo senso svincolati e riabilitati come strumenti non solo in grado di produrre rischi sistemici ma anche di generare crescita e sviluppo, nello stesso tempo l’orientamento del capitalismo americano rimane ancorato al profitto e la leadership politica economica statunitense si pone ancora come guida della globalizzazione.
Che cosa allora ci si può aspettare per il futuro economico di quella che è ancora la più grande potenza economica della globalizzazione ?
Certo la capacità di permanere nella leadership è dovuta innanzitutto ad una economia di scala che sembra in ogni caso essere presente negli stati uniti con riferimento alle risorse sia di capitale umano, tecnologico, di risorse minerarie ed anche di capacità istituzionale.
 Tuttavia è probabile che la possibilità di permanere in una condizione di leadership sia fortemente legata alla capacità di vincere delle partite con singoli competitori nella specializzazione internazionale.
Il concetto di specializzazione internazionale deve essere meglio spiegato. Per specializzazione internazionale non possiamo soltanto intendere una condizione macroeconomica legata ai bassi costi dovuti ad un deprezzamento della moneta o ad una condizione di sfruttamento dei lavoratori e dei fattori produttivi. Per specializzazione internazionale dobbiamo intendere delle caratteristiche tipiche del sistema industriale che è in grado per la cultura economica tipica di un certo paese di produrre determinati beni meglio e non solo ad un prezzo più convenite di altri paesi.  
In questo senso possiamo dire che effettivamente gli Stati Uniti possono essere competitivi anche con i paesi asiatici. Se infatti la competizione sul prezzo non è una competizione che si possa vincere in qualche modo per via dell’enorme disparità dei valori monetari e quantitativi, la competizione sulla qualità è nella perfetta disponibilità degli Usa anche se è necessario sottolineare che il potere di mercato delle singole imprese  può essere un enorme limite alla diffusione e all’affermazione del capitalismo a stelle e strisce E’ necessario infatti mettere insieme la capacità di sostenere in global player con la capacità di produrre delle nuove imprese che continuino ad esser innovative e ad aprire nuovi mercati e nuovi scenari.
 Se gli statunitensi riusciranno a vincere partite basate sulla specializzazione internazionale attraverso la conservazione dei global players e pure nella determinazione di nuovi scenari di impresa la loro capacità di guidare il capitalismo potrebbe permanere intatta.

Tuttavia è necessario sotto questo punto di vista una politica internazionale favorevole ad un assetto leaderistico pure nel riconoscimento dell’importanza di uno schema concertativo sulle scelte di fondo quali: stabilità finanziaria, ambiente e diritti dei lavoratori da adottare insieme con i paesi di nuovo sviluppo.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2014-11-22/e-tracollo-non-arriva-111007.shtml?uuid=ABIiwwGC

lunedì 24 novembre 2014

Le politiche economiche industriali della commissione Junker




In un articolo pubblicato  sul sito del Il sole 24 ore si fa riferimento al piano realizzato da Junker per favorire gli investimenti  nelle politiche economiche industriali. Tuttavia appare difficile che questo piano da 300 miliardi di euro possa essere in grado di offrire una protezione al fenomeno della globalizzazione che porta le imprese ad andare all’estero, comprese le imprese tedesche.
Se per industria infatti immaginiamo il sistema economico fordista –taylorista, la produzione in serie, l’azienda che occupa decine di migliaia o anche centinaia di migliaia di dipendenti allora dobbiamo dire con grande probabilità che questo investimento sarà fallimentare.
I costi di impianto, i costi dei materiali, i costi del trasporto della materie prime, i costi dell’energia, i costi del lavoro, il costo del fisco sono troppo elevati per consentire all’Europa di ospitare un sistema industriale pesante. E questo è anche dimostrato dalla naturale tendenza dell’economia europea a sostituire il settore dei servizi con il settore dell’industria. E’ chiaro tuttavia che non è possibile generalizzare.  Vi sono anche in Europa alcune aree nelle quali i costi per la realizzazione di una struttura industriale sono bassi, ovvero nei paesi dell’Est.
Tuttavia è difficile dire per quanto tempo questi paesi permarranno in una condizione di convenienza relativa rispetto alla possibilità di investire in industria. E’ probabile infatti che con l’introduzione dell’euro e con il processo di integrazione europea i costi aumentino anche in questi paesi provocando  una condizione di inefficienza dell’investimento pubblico.
Non è quindi tanto una questione di  entità dell’investimento pubblico quanto piuttosto una questione di efficienza dell’investimento. Investire nell’industria significa esporsi al rischio di bassa efficienza dell’investimento, a meno che una politica economica monetaria di svalutazione dell’Euro non accompagni il processo di investimento industriale. Tuttavia sembra difficile che l’indirizzo storico della Banca Centrale Europea possa cambiare in una contesto dove pure il moderato obbiettivo dell’inflazione al 2-3% sembra impossibile da raggiungere.
Vi è inoltre una altra importante questione da considerare con riferimento all’investimento pubblico nel sistema industriale ed è quella relativa alla sostenibilità del sistema industriale. In un periodo nel quale si fa riferimento alla necessità di ridurre la capacità inquinante del sistema industriale, realizzare un sistema industriale in una Europa già provata dall’industrialismo potrebbe ridurre la capacità di benessere dei cittadini europei a causa dell’inquinamento.
E’ necessario allora considerare che in una Europa che vuole conservare una moneta sostenuta l’unica politica industriale possibile è quella che favorisce le piccole imprese, i network tra piccole imprese, e la costruzione di filiere corte. Tra le piccole imprese possono rientrare anche quelle imprese che realizzano attività di progettazione in campi ad alta tecnologia che poi possono essere realizzati in paesi dove i costi di realizzazione sono più bassi.  Ecco il nuovo sistema industriale europeo. Una sorta di grande centro di ricerca, di progettazione, di realizzazione di piccole e medie attività economiche capaci di essere nello stesso tempo compatibili con la struttura dei costi del mercato e  con le esigenze di rispetto dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori e delle persone. Con una capacità di generare reddito elevatissima.
Quanto vale infatti un brevetto che si trasforma in prodotto meccanico, informatico, o in servizio standardizzabile ? Può valere anche diversi milioni di euro se la piccola e media impresa procede con la realizzazione delle componenti fisiche nei paesi dove è più conveniente produrre.
Le piccole e medie imprese artigiane, a forte contenuto intellettuale, ad alto valore di capitale umano possono così esercitare una funzione egemonica e movimentare sia il capitale umano, che migliaia di lavoratori  anche all’estero, oltre che milioni di consumatori nel mercato globale.
Tuttavia è necessario che in questo senso l’unione europea costruisca dei ponti e delle relazioni commerciali in grado di sostenere questa capacità produttiva globale che può giovare alla crescita dell’economia europea e allo sviluppo economico globale.
La politica industriale è in realtà una parte della politica economica fiscale. Essa deve  coordinarsi con la politica economica monetaria.
Una politica degli investimenti nel sistema industriale pesante deve essere accompagnata da una svalutazione monetaria e da una crescita dell’inflazione moderata. Poiché La globalizzazione ha portato con sé una diversificazione dei costi di produzione. Combattere contro una struttura dei costi così mutata è una operazione titanica, possibile solo in presenza di una svalutazione continuativa dell’euro.
Se invece al contrario l’Ue investe sull’industria  in assenza di una politica economica monetaria della svalutazione allora sarebbe meglio per l’Ue cambiare progetto di politica industriale e rivolgersi alle piccole e medie imprese capaci di innovare e progettare. 


Dati World Bank http://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG

domenica 16 novembre 2014

Liberare l'economia dalle secche del debito

Dati World Bank http://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG
Secondo un articolo pubblicato online il Giappone sembra  entrato in recessione. Si tratta di un dato che non può essere certo considerato come imprevisto. In effetti l’economia giapponese guidata dall’abenomiccs, ovvero fondata su politiche di espansione monetaria e di crescita del prelievo fiscale indiretto in un periodo di crisi dell’economia finanziaria mondiale non poteva certo portare ad effetti positivi soprattutto in un paese che ha un elevatissimo debito pubblico, pari oltre 2 volte il Pil. Il problema del Giappone in realtà è la sua posizione all’interno dell’area asiatica, una area a fortissimo sviluppo nella quale si trasferiscono ricchezze sempre più ingenti e che dovrebbe presto arrivare a detenere quote fondamentali del PIL  mondiale.

 

Tuttavia è necessario sottolineare che mentre le economie asiatiche possono ancora provvedere ad una crescita economica guidata da alti tassi ,l’economia del Giappone poiché parte già da una  condizione di maggiore vantaggio sotto il punto di vista economico ha maggiori problemi sotto questo punto di vista. La possibilità di comprimere i salari per essere competitivi  con Cina, e sud Corea, India e gli altri paesi asiatici sembra essere molto bassa. Del resto il sistema bancario e finanziario giapponese era stato già messo in ginocchio dalla crisi del 1994 e da quel momento in poi l’alto debito pubblico non ha consentito alle politiche economiche monetarie di essere adeguatamente accompagnate da politiche economiche fiscali. Tuttavia le imprese giapponesi permangono come global players e sono in parte anche pregiudicate da uno scenario economico nazionale che certo non è loro favorevole.

Il Giappone può sembrare una piccola economia rispetto alla Cina o  all’India. Certo non lo è se guardata dagli occhi dell’Europa. In effetti con i suoi oltre 200.000.000di abitanti, con le sue imprese che hanno una elevatissima capacità di produrre beni tecnologici avanzati il Giappone rimane uno dei paesi più interessanti sotto il punto di vista economico .Il Giappone in realtà è un paese occidentale sotto il punto di vista del sistema produttivo anche se la sua posizione geografica e culturale lo definiscono come orientale.

L’antica diatriba cino-giapponese potrebbe forse riproporsi all’interno della globalizzazione.

Ma sarebbe forse troppo difficile riproporre un conflitto territoriale da potenze che hanno invece tutto l’interesse a collaborare.

Tuttavia nonostante i mercati abbiano cercato in ogni modo di procedere ad una uniformizzazione dell’economia mondiale sembra che questo risultato non sia stato conseguito o forse è impossibile da raggiugere. La crisi finanziaria ha dato nuova importanza all’economia nazionale e la globalizzazione come nuova pangea è stata sostituita dal vecchio schema dell’internazionalismo bilaterale e multilaterale.

Tuttavia le imprese rimangono ancora centrali per quello ius mercatorum che dispone un diritto informale capace di influenzare i governi e le classi dirigenti pubbliche e private.

La proposta di una banca centrale globale o di una moneta di riserva globale capace di offrire un collaterale alle obbligazioni dei sigli paesi spaventa come nuovo monolito economico che potrebbe essere oggetto di attacchi distruttivi e violenti.

La globalizzazione è un luogo liquido e tale sembra rimanere anche se la crisi rischia di ridurre la capacità del capitale di remunerare persone, competenze e capacità e di far in modo che la chiusura nelle economie nazionali, regionali o locali frapponga allo sviluppo  della civilizzazione.

Per questo è necessario affrontare il problema del debito pubblico tanto nei paesi di nuovo sviluppo quanto nei paesi sviluppati per fare in modo che il capitale possa dare ancora liquidità e consentire all’economia d riprendere il suo cammino di crescita e progresso.