« Berkeley – Negli ultimi
mesi le economie dei mercati emergenti hanno passato dei brutti momenti. Nel
2013 hanno visto diminuire i flussi netti di capitale di 122 miliardi di
dollari ovvero del 9,6 per cento l'anno e hanno registrato un'altra picchiata
nei primi due mesi del 2014. Cosa sta provocando questa perdita e quanto
durerà? Gli investitori globali sono meno inclini al rischio davanti alla
prospettiva di una stretta monetaria in Europa e negli Stati Uniti e ai timori
per il rallentamento della crescita cinese e le sue ripercussioni negative
sulla domanda globale e sui prezzi delle materie prime. Fra il
2002 e il 2007, e ancora dopo la crisi finanziaria globale del 2008-2009, i
flussi di capitale verso le economie emergenti hanno registrato un'impennata
con gli investitori che cercavano rendimenti quando i Paesi sviluppati vivevano
un rallentamento della crescita e una recessione, i tassi di interesse erano
bassi e la liquidità abbondava. Di
fronte a una maggiore attenzione al rischio e a perdite impreviste sui mercati
emergenti, gli investitori sono diventati più selettivi e hanno cominciato a
differenziare tra Paesi e settori. Tuttavia, sul lungo periodo, lo scenario per
gli investimenti nei mercati emergenti, in particolare quelli con i
fondamentali macroeconomici più forti, un clima politico stabile e una classe
media in espansione, è promettente. L'attuale ondata di industrializzazione e
urbanizzazione, combinata a una crescita di produttività superiore dovuta alla
spostamento delle risorse verso attività a maggiore produttività, non è ancora
finita. » (Umori e sensibilità verso i mercati emergenti, Il Sole 24 ore, diLaura Tyson18 aprile 2014)
Nell’articolo citato si fa riferimento all’afflusso e al deflusso di
capitali nelle economie emergenti. Gli
investimenti diretti esteri hanno un impatto positivo sulla crescita economica dei paesi emergenti. Tuttavia la possibilità
da parte dei paesi emergenti di realizzare una crescita economia sostenuta
dipende dalla capacità di applicare una politica economica della crescita endogena. Se i paesi emergenti sono in grado
di realizzare da sé una crescita economica attraverso l’accumulazione, l’industrializzazione,
la crescita della produzione e delle esportazioni, allora la crescita economica
delle economie ergenti sarà maggiore di quello previsto. Tuttavia per quanto
sia importante per un paese emergente ottenere
degli investimenti diretti esteri nell’economia reale, soprattutto quando si
realizzano in termini di impianti e infrastrutture, è anche necessario porre in
considerazione l’effetto ultra recessivo della riduzione degli investimenti
diretti esteri nell’economia dei paesi emergenti. Il punto fondamentale per segnare
un discrimine nell’ammontare degli investimenti diretti esteri è l’azione degli
investimenti diretti esteri sulle aspettative di investimento dei paesi
emergenti. Se cioè i paesi emergenti sviluppano delle aspettative di carattere
statico circa gli investimenti diretti esteri allora il rischio che gli investimenti
diretti esteri possano provocare degli effetti negativi sull’economia è molto
forte. In modo particolare gli investimenti diretti esteri dovrebbero essere pianificati
e controllati dai governi avendo attenzioni per il loro andamento. Il rischio
più grande degli investimenti diretti esteri per la crescita economica di un paese
emergente è nella trasformazione dell’economia in una economia guidata dall’esterno,
nel ritorno all’esogeneità. L’esogeneità, l’eterodirezione, si manifesta come cessione di sovranità
economica ed è molto rischiosa perché può far perdere ad un paese la capacità
di individuare un percorso per rafforzare la crescita economica oppure per uscire
dalla crisi economica. I policy makers delle economie emergenti devono dunque
essere attenti a fare in modo che gli investimenti diretti esterni siano tali
da far permanere l’economia nazionale in un modello di crescita economica
endogena. In questo senso moto importante è la struttura dei diritti di
proprietà-. Se i diritti di proprietà sono oggetti di una trattazione a livello
internazionale e soprattutto trattati su mercati esteri allora l’assetto produttivo dei paesi
emergenti è “ceduto” all’estero, su mercati esteri, da operatori istituzionali
difficili da controllare. Allora una strategia fondamentale per i paesi emergenti
è sviluppare un proprio mercato finanziario nel quale trattare i titoli di
proprietà e sviluppare un proprio sistema bancario e delle proprie istituzioni
di controllo e regolamentazione in materia bancaria e finanziaria. La
costruzione del mercato finanziario, del sistema bancario devono riflettere i
valori delle economie dei paesi emergenti. Se taluni paesi hanno molto forte il
senso della nazione, o della comunità allora essi devono fare in modo che le
istituzioni finanziarie e bancarie e le organizzazioni da essere scaturenti
siano improntate a questi valori e a questi principi. La crescita economia guidata
attraverso il disegno di istituzioni ed organizzazioni capaci di rappresentare i
valori culturale della popolazione e di servire il suo benessere.
Gli investimenti diretti esteri dipendono molto dalle condizioni economiche
dei paesi industrializzati. E poiché i paesi industrializzati sono caratterizzati
da problemi demografici, come l’aging e il depauperamento del capitale umano e
sociale, è probabile che le risorse economiche verranno impiegate per la
ricostruzione di un assetto demografico e valoriale capace di interpretare i
valori dell’economia occidentale. Sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno deciso
di puntare sulla realizzazione di una nuova fase di industrializzazione e di
produzione manifatturiera interna seppure questa abbia maggiori costi di
impianto e di installazione rispetto ai costi della delocalizzazione
produttiva. Le ragioni della reindustrializzazione dell’occidente sono di
carattere politico. L’incapacità da parte dei governi di sostenere il benessere
della popolazione comporta un reindirizzamento degli investimenti e una sorta
di “nazionalizzazione delle corporations” trasformate da strumento di
ultracolonialismo e soft power a nuovi enti per lo sviluppo delle imprese e
dell’economia nel territorio statunitense ed europeo.
Non è quindi la riduzione della convenienza all’investimento estero, o la
fragilità politica dei paesi emergenti a ridurre gli investimenti esteri,
quanto la tensione politica nell’occidente a mettere un freno agli investimenti
diretti esteri nei paesi emergenti. Maggiore sarà la difficoltà di riprendere
un cammino di sviluppo economico, maggiori le preoccupazioni degli elettori
statunitensi ed europei circa il proprio
livello di benessere economico, minore saranno gli investimenti diretti esteri.
I paesi emergenti tuttavia possono incrementare il proprio capitale finanziario
attraverso il disegno di nuove istituzioni finanziarie.
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