sabato 19 aprile 2014

La produzione di capitale nelle economie emergenti


« Berkeley – Negli ultimi mesi le economie dei mercati emergenti hanno passato dei brutti momenti. Nel 2013 hanno visto diminuire i flussi netti di capitale di 122 miliardi di dollari ovvero del 9,6 per cento l'anno e hanno registrato un'altra picchiata nei primi due mesi del 2014. Cosa sta provocando questa perdita e quanto durerà? Gli investitori globali sono meno inclini al rischio davanti alla prospettiva di una stretta monetaria in Europa e negli Stati Uniti e ai timori per il rallentamento della crescita cinese e le sue ripercussioni negative sulla domanda globale e sui prezzi delle materie prime. Fra il 2002 e il 2007, e ancora dopo la crisi finanziaria globale del 2008-2009, i flussi di capitale verso le economie emergenti hanno registrato un'impennata con gli investitori che cercavano rendimenti quando i Paesi sviluppati vivevano un rallentamento della crescita e una recessione, i tassi di interesse erano bassi e la liquidità abbondava. Di fronte a una maggiore attenzione al rischio e a perdite impreviste sui mercati emergenti, gli investitori sono diventati più selettivi e hanno cominciato a differenziare tra Paesi e settori. Tuttavia, sul lungo periodo, lo scenario per gli investimenti nei mercati emergenti, in particolare quelli con i fondamentali macroeconomici più forti, un clima politico stabile e una classe media in espansione, è promettente. L'attuale ondata di industrializzazione e urbanizzazione, combinata a una crescita di produttività superiore dovuta alla spostamento delle risorse verso attività a maggiore produttività, non è ancora finita. » (Umori e sensibilità verso i mercati emergenti, Il Sole 24 ore, diLaura Tyson18 aprile 2014)

Nell’articolo citato si fa riferimento all’afflusso e al deflusso di capitali  nelle economie emergenti. Gli investimenti diretti esteri hanno un impatto positivo sulla crescita  economica dei paesi emergenti. Tuttavia la possibilità da parte dei paesi emergenti di realizzare una crescita economia sostenuta dipende dalla capacità di applicare una politica economica della crescita  endogena. Se i paesi emergenti sono in grado di realizzare da sé una crescita economica attraverso l’accumulazione, l’industrializzazione, la crescita della produzione e delle esportazioni, allora la crescita economica delle economie ergenti sarà maggiore di quello previsto. Tuttavia per quanto sia importante  per un paese emergente ottenere degli investimenti diretti esteri nell’economia reale, soprattutto quando si realizzano in termini di impianti e infrastrutture, è anche necessario porre in considerazione l’effetto ultra recessivo della riduzione degli investimenti diretti esteri nell’economia dei paesi emergenti. Il punto fondamentale per segnare un discrimine nell’ammontare degli investimenti diretti esteri è l’azione degli investimenti diretti esteri sulle aspettative di investimento dei paesi emergenti. Se cioè i paesi emergenti sviluppano delle aspettative di carattere statico circa gli investimenti diretti esteri allora il rischio che gli investimenti diretti esteri possano provocare degli effetti negativi sull’economia è molto forte. In modo particolare gli investimenti diretti esteri dovrebbero essere pianificati e controllati dai governi avendo attenzioni per il loro andamento. Il rischio più grande degli investimenti diretti esteri per la crescita economica di un paese emergente è nella trasformazione dell’economia in una economia guidata dall’esterno, nel ritorno all’esogeneità. L’esogeneità, l’eterodirezione,  si manifesta come cessione di sovranità economica ed è molto rischiosa perché può far perdere ad un paese la capacità di individuare un percorso per rafforzare la crescita economica oppure per uscire dalla crisi economica. I policy makers delle economie emergenti devono dunque essere attenti a fare in modo che gli investimenti diretti esterni siano tali da far permanere l’economia nazionale in un modello di crescita economica endogena. In questo senso moto importante è la struttura dei diritti di proprietà-. Se i diritti di proprietà sono oggetti di una trattazione a livello internazionale e soprattutto trattati su mercati  esteri allora l’assetto produttivo dei paesi emergenti è “ceduto” all’estero, su mercati esteri, da operatori istituzionali difficili da controllare. Allora una strategia fondamentale per i paesi emergenti è sviluppare un proprio mercato finanziario nel quale trattare i titoli di proprietà e sviluppare un proprio sistema bancario e delle proprie istituzioni di controllo e regolamentazione in materia bancaria e finanziaria. La costruzione del mercato finanziario, del sistema bancario devono riflettere i valori delle economie dei paesi emergenti. Se taluni paesi hanno molto forte il senso della nazione, o della comunità allora essi devono fare in modo che le istituzioni finanziarie e bancarie e le organizzazioni da essere scaturenti siano improntate a questi valori e a questi principi. La crescita economia guidata attraverso il disegno di istituzioni ed organizzazioni capaci di rappresentare i valori culturale della popolazione e di servire il suo benessere.
Gli investimenti diretti esteri  dipendono molto dalle condizioni economiche dei paesi industrializzati. E poiché i paesi industrializzati sono caratterizzati da problemi demografici, come l’aging e il depauperamento del capitale umano e sociale, è probabile che le risorse economiche verranno impiegate per la ricostruzione di un assetto demografico e valoriale capace di interpretare i valori dell’economia occidentale. Sia gli Stati Uniti che l’Europa hanno deciso di puntare sulla realizzazione di una nuova fase di industrializzazione e di produzione manifatturiera interna seppure questa abbia maggiori costi di impianto e di installazione rispetto ai costi della delocalizzazione produttiva. Le ragioni della reindustrializzazione dell’occidente sono di carattere politico. L’incapacità da parte dei governi di sostenere il benessere della popolazione comporta un reindirizzamento degli investimenti e una sorta di “nazionalizzazione delle corporations” trasformate da strumento di ultracolonialismo e soft power a nuovi enti per lo sviluppo delle imprese e dell’economia nel territorio statunitense ed europeo.

Non è quindi la riduzione della convenienza all’investimento estero, o la fragilità politica dei paesi emergenti a ridurre gli investimenti esteri, quanto la tensione politica nell’occidente a mettere un freno agli investimenti diretti esteri nei paesi emergenti. Maggiore sarà la difficoltà di riprendere un cammino di sviluppo economico, maggiori le preoccupazioni degli elettori statunitensi ed europei  circa il proprio livello di benessere economico, minore saranno gli investimenti diretti esteri. I paesi emergenti tuttavia possono incrementare il proprio capitale finanziario attraverso il disegno di nuove istituzioni finanziarie. 

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