giovedì 2 agosto 2018

Contro lo shortermismo politico


“Le imprese sono consapevoli della necessità di proseguire in questa direzione. Se si vuole dare dignità al lavoro è necessario sviluppare la formazione tecnica e promuovere la ricerca per i settori del Made in Italy. Su questo terreno il Nord-Est ha dimostrato determinazione sul piano della promozione degli Its, creando una vera e propria academy territoriale, così come sul fronte del Competence center per Industria 4.0 che, per la prima volta, aggrega tutte le università delle tre regioni. Se vogliamo ridurre gli sprechi nelle infrastrutture, meglio guardare altrove sulla carta geografica: Pedemontana veneta e alta velocità Brescia-Padova sono priorità consolidate, percepite come essenziali da una larga fascia della popolazione che studia e lavora sperimentando una mobilità che fa della Venezia-Milano un’unica grande città metropolitana. Su questi obiettivi il Nord-Est continua a investire e su questo terreno reclama la sua autonomia.” (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2018-08-01/di-dignita-e-dazi-ascoltiamo-allarmi-imprenditori-nord-est-220525.shtml?uuid=AEYMKqVF)

La presenza di reti territoriali è un elemento essenziale nell’interno dello scenario economico italiana. Il regionalismo dell’economia italiana è un dato di fatto che dovrebbe costituire anche un elemento per riforme di carattere costituzione volte a creare delle istituzioni le quali siano in grado di mettere insieme da un lato gli elementi essenziali della produzione industriale, con la formazione e il rapporto pubblico-privato per gli insediamenti produttivi.
Il Nord Italia è la parte certamente più avanzata del paese ed è molto probabile che il divario tra Nord e Sud cresca sempre di più nel futuro. L’economia premia i soggetti economici, i territori, le aree regionali che sono in grado di realizzare delle forme di accumulazione di capitale fisico, finanziario,umano, e il Nord Italia sembra essere caratterizzato da una capacità di accumulazione molto elevata.
In modo particolare se vediamo la distribuzione del reddito nel periodo tra il 2004 e il 2016 è possibile verificare che il prodotto interno lordo pro capite nel Nord Italia è cresciuto da 19.696,00 euro del 2004 fino ad un valore pari a 21.307,00 euro del 2016 ovvero una crescita di circa l’8,00% pari a circa 1.611 euro. Il prodotto interno lordo pro capite nel Centro è cresciuto da 18.186 euro fino ad un valore di 19.095,00 euro nel 2016 con una crescita pari a 909,00 euro ovvero pari a circa il 5,00%. Il prodotto interno lordo pro-capite del Mezzogiorno è cresciuto da 12.171,00 euro fino ad un valore pari a 13.513,00 euro ovvero pari ad una variazione pari a 1.342,00 euro ovvero pari a circa l’11,00%. Pertanto come appare evidente il prodotto interno lordo del Mezzogiorno in termini percentuali è cresciuto in modo determinante rispetto al prodotto interno lordo pro capite del Nord.

Nord
Centro
Mezzogiorno
2.004
19.696
18.186
12.171
2.005
20.074
18.491
12.464
2.006
20.749
18.961
12.870
2.007
21.360
19.579
13.234
2.008
21.562
19.759
13.404
2.009
20.742
19.288
13.202
2.010
20.661
19.212
13.078
2.011
21.180
19.449
13.334
2.012
20.523
18.645
12.978
2.013
               20.557
                18.499
                12.943
2.014
                20.617
                18.559
                13.020
2.015
               20.969
                18.768
                13.255
2.016
                21.307
                19.095
                 13.513
Variazione assoluta
        1.611
           909
        1.342
Variazione percentuale
                8
                5
              11
In termini di Pil del Nord
100,0
89,6
63,4


Tuttavia se analizziamo i dati considerando come riferimento il prodotto interno lordo del Nord si verifica che il Centro ha un reddito pro-capite pari a circa l’89,6% del prodotto interno lordo del Nord, laddove il reddito pro-capite del Mezzogiorno è pari a circa il 63,40% del prodotto interno lordo del Nord. Ovvero per ogni euro che il residente del Nord ottiene a titolo di reddito pro capite, il residente del Sud ne ottiene soltanto 63,40 centesimi.
La diseguaglianza alcuni dicono sia la cifra dell’economia nella globalizzazione. Certo la diseguaglianza c’è sempre stata ed essa tende a crescere con la crescita delle tecnologie, del capitale umano. E’ lo stesso processo di generazione di valore aggiunto a produrre diseguaglianza. La produzione di ricchezza è un processo caratterizzato da ineguaglianza. Tuttavia sono esistiti certamente dei periodi nei quali la diseguaglianza si è manifestata in modo meno elevato, ma sono dei periodi che sono stati completamente superati da due fattori: la scomparsa della borghesia come classe sociale e la scomparsa dello Stato interventista nell’economia.
La scomparsa della borghesia è un fatto globale che riguarda l’interno capitalismo. Manca cioè la classe di mezzo ovvero quei soggetti che possono mediare tra i poveri e le classi dirigenti offrendo delle chances al sogno dell’emancipazione sociale attraverso il lavoro che era tipico del mondo della “golden age”. Del resto manca anche lo Stato. La possibilità di tornare ad uno stato interventista è molto bassa e non dipende tanto dal fatto che ci sia o meno l’Unione Europea a limitare i poteri degli Stati Nazioni, quanto proprio dal fatto che lo scenario internazionale, l’economia finanziaria, richiedono una velocità degli investimenti che lo Stato non è in grado di garantire.
Inoltre occorre anche considerare che lo shortermismo non riguarda soltanto il settore dei privati ma anche il settore dele classi dirigenti pubbliche. Se infatti il privato è guidato dall’interesse per il profitto, è necessario pure metter in evidenza il fatto che il decisore politico è guidato dalla necessità di procedere alla massimizzazione del consenso elettorale. E la massimizzazione del copnsenso elettorale è una determinante di breve periodo nell’interno delle scelte di politica economica e finanziaria dello stato.
La possibilità di uscire dallo shortermismo del policy maker può concretizzarsi per il tramite della creazione di una serie di istituzioni le quali siano rivolte nei confronti della dimensione di lungo periodo, ovvero che siano oltre i limiti del governo, e dell’ansia per la rielezione che motiva i rappresentanti politici. Occorre cioè dotare lo Stato di enti rivolti alla programmazione di lungo periodo i quali siano liberi dalla questione del consenso elettorale, e che, nell’operare nell’interesse della popolazione siano in grado di generare valore aggiunto attraverso l’operatività nei settori strategici del paese.
Occorre che le forze politiche si accordino per scegliere di riconoscere un bene comune superiore all parti che sia tutelato attraverso istituzioni rivolte al lungo periodo e che siano difese come enti di interesse nazionale.
Solo con la visione di lungo periodo è possibile fare in modo che lo shortermismo direzionale orientato alla compulsione dell’elezione di breve periodo sia liberato e che il paese possa essere rivolto al proprio destino di nazione centrale nell’interno del mondo occidentale con investimenti e istituzioni operanti nel più alto interesse comune.

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