“Le
imprese sono consapevoli della necessità di proseguire in questa direzione. Se
si vuole dare dignità al lavoro è necessario sviluppare la formazione tecnica e
promuovere la ricerca per i settori del Made in Italy. Su questo terreno il
Nord-Est ha dimostrato determinazione sul piano della promozione degli Its,
creando una vera e propria academy territoriale, così come sul fronte del
Competence center per Industria 4.0 che, per la prima volta, aggrega tutte le
università delle tre regioni. Se vogliamo ridurre gli sprechi nelle
infrastrutture, meglio guardare altrove sulla carta geografica: Pedemontana
veneta e alta velocità Brescia-Padova sono priorità consolidate, percepite come
essenziali da una larga fascia della popolazione che studia e lavora
sperimentando una mobilità che fa della Venezia-Milano un’unica grande città metropolitana.
Su questi obiettivi il Nord-Est continua a investire e su questo terreno
reclama la sua autonomia.” (http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2018-08-01/di-dignita-e-dazi-ascoltiamo-allarmi-imprenditori-nord-est-220525.shtml?uuid=AEYMKqVF)
La
presenza di reti territoriali è un elemento essenziale nell’interno dello
scenario economico italiana. Il regionalismo dell’economia italiana è un dato
di fatto che dovrebbe costituire anche un elemento per riforme di carattere
costituzione volte a creare delle istituzioni le quali siano in grado di
mettere insieme da un lato gli elementi essenziali della produzione
industriale, con la formazione e il rapporto pubblico-privato per gli
insediamenti produttivi.
Il
Nord Italia è la parte certamente più avanzata del paese ed è molto probabile
che il divario tra Nord e Sud cresca sempre di più nel futuro. L’economia
premia i soggetti economici, i territori, le aree regionali che sono in grado
di realizzare delle forme di accumulazione di capitale fisico,
finanziario,umano, e il Nord Italia sembra essere caratterizzato da una
capacità di accumulazione molto elevata.
In
modo particolare se vediamo la distribuzione del reddito nel periodo tra il
2004 e il 2016 è possibile verificare che il prodotto interno lordo pro capite
nel Nord Italia è cresciuto da 19.696,00 euro del 2004 fino ad un valore pari a
21.307,00 euro del 2016 ovvero una crescita di circa l’8,00% pari a circa 1.611
euro. Il prodotto interno lordo pro capite nel Centro è cresciuto da 18.186
euro fino ad un valore di 19.095,00 euro nel 2016 con una crescita pari a
909,00 euro ovvero pari a circa il 5,00%. Il prodotto interno lordo pro-capite
del Mezzogiorno è cresciuto da 12.171,00 euro fino ad un valore pari a
13.513,00 euro ovvero pari ad una variazione pari a 1.342,00 euro ovvero pari a
circa l’11,00%. Pertanto come appare evidente il prodotto interno lordo del Mezzogiorno
in termini percentuali è cresciuto in modo determinante rispetto al prodotto
interno lordo pro capite del Nord.
Nord
|
Centro
|
Mezzogiorno
|
|
2.004
|
19.696
|
18.186
|
12.171
|
2.005
|
20.074
|
18.491
|
12.464
|
2.006
|
20.749
|
18.961
|
12.870
|
2.007
|
21.360
|
19.579
|
13.234
|
2.008
|
21.562
|
19.759
|
13.404
|
2.009
|
20.742
|
19.288
|
13.202
|
2.010
|
20.661
|
19.212
|
13.078
|
2.011
|
21.180
|
19.449
|
13.334
|
2.012
|
20.523
|
18.645
|
12.978
|
2.013
|
20.557
|
18.499
|
12.943
|
2.014
|
20.617
|
18.559
|
13.020
|
2.015
|
20.969
|
18.768
|
13.255
|
2.016
|
21.307
|
19.095
|
13.513
|
Variazione
assoluta
|
1.611
|
909
|
1.342
|
Variazione
percentuale
|
8
|
5
|
11
|
In termini di Pil
del Nord
|
100,0
|
89,6
|
63,4
|
Tuttavia se analizziamo i dati considerando come riferimento il prodotto interno lordo del Nord si verifica che il Centro ha un reddito pro-capite pari a circa l’89,6% del prodotto interno lordo del Nord, laddove il reddito pro-capite del Mezzogiorno è pari a circa il 63,40% del prodotto interno lordo del Nord. Ovvero per ogni euro che il residente del Nord ottiene a titolo di reddito pro capite, il residente del Sud ne ottiene soltanto 63,40 centesimi.
La
diseguaglianza alcuni dicono sia la cifra dell’economia nella globalizzazione.
Certo la diseguaglianza c’è sempre stata ed essa tende a crescere con la
crescita delle tecnologie, del capitale umano. E’ lo stesso processo di
generazione di valore aggiunto a produrre diseguaglianza. La produzione di
ricchezza è un processo caratterizzato da ineguaglianza. Tuttavia sono esistiti
certamente dei periodi nei quali la diseguaglianza si è manifestata in modo
meno elevato, ma sono dei periodi che sono stati completamente superati da due
fattori: la scomparsa della borghesia come classe sociale e la scomparsa dello
Stato interventista nell’economia.
La
scomparsa della borghesia è un fatto globale che riguarda l’interno
capitalismo. Manca cioè la classe di mezzo ovvero quei soggetti che possono
mediare tra i poveri e le classi dirigenti offrendo delle chances al sogno dell’emancipazione
sociale attraverso il lavoro che era tipico del mondo della “golden age”. Del
resto manca anche lo Stato. La possibilità di tornare ad uno stato
interventista è molto bassa e non dipende tanto dal fatto che ci sia o meno l’Unione
Europea a limitare i poteri degli Stati Nazioni, quanto proprio dal fatto che
lo scenario internazionale, l’economia finanziaria, richiedono una velocità
degli investimenti che lo Stato non è in grado di garantire.
Inoltre
occorre anche considerare che lo shortermismo non riguarda soltanto il settore
dei privati ma anche il settore dele classi dirigenti pubbliche. Se infatti il
privato è guidato dall’interesse per il profitto, è necessario pure metter in
evidenza il fatto che il decisore politico è guidato dalla necessità di
procedere alla massimizzazione del consenso elettorale. E la massimizzazione
del copnsenso elettorale è una determinante di breve periodo nell’interno delle
scelte di politica economica e finanziaria dello stato.
La
possibilità di uscire dallo shortermismo del policy maker può concretizzarsi
per il tramite della creazione di una serie di istituzioni le quali siano rivolte
nei confronti della dimensione di lungo periodo, ovvero che siano oltre i
limiti del governo, e dell’ansia per la rielezione che motiva i rappresentanti
politici. Occorre cioè dotare lo Stato di enti rivolti alla programmazione di
lungo periodo i quali siano liberi dalla questione del consenso elettorale, e
che, nell’operare nell’interesse della popolazione siano in grado di generare
valore aggiunto attraverso l’operatività nei settori strategici del paese.
Occorre
che le forze politiche si accordino per scegliere di riconoscere un bene comune
superiore all parti che sia tutelato attraverso istituzioni rivolte al lungo
periodo e che siano difese come enti di interesse nazionale.
Solo
con la visione di lungo periodo è possibile fare in modo che lo shortermismo
direzionale orientato alla compulsione dell’elezione di breve periodo sia
liberato e che il paese possa essere rivolto al proprio destino di nazione
centrale nell’interno del mondo occidentale con investimenti e istituzioni
operanti nel più alto interesse comune.
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