mercoledì 4 giugno 2014

Il governo dell’economia non spetta solo al Governo

« È tempo di dare un freno alla garrula euforia che sembra essersi diffusa nel Paese - non da parte del premier - dopo il «40%» conquistato da Matteo Renzi alle elezioni europee. […] Non sovvertono certamente il dato di una caduta di produzione in Italia del 25% dal 2000 ad oggi contro un incremento del 36% nel resto del mondo. […]I dati sulla produzione industriale di maggio parlano di un modestissimo +0,2% mese su mese.[…]Per non parlare dell'andamento dell'occupazione, che ha registrato ad aprile la perdita di altri 68mila posti di lavoro. […]L'andamento del prodotto è poco più che piatto e l'obiettivo pur modesto del +0,8% a fine anno fissato dal governo è già irrealistico.[…] Soprattutto se ci aggiungi una pressione fiscale sulle imprese che è del 50% superiore alla media europea, come ha denunciato ancora ieri la Corte dei conti, un costo del lavoro che continua a crescere del tutto slegato dalla produttività, un settore sommerso dell'economia che viaggia al 21%. Eppoi il nodo della legalità, che diventa sempre più un allarme nazionale. »(  La dura realtà e il lavoro tutto da fare diFabrizio Forquet, Il sole 24 ore,05 giugno 2014)

Nell’articolo si mettono in evidenza molti problemi del paese. Tuttavia vi sono alcuni punti sui quali il Governo può intervenire come per esempio le tasse, il cuneo fiscale e la legalità. Altre questioni come per esempio la riduzione della produzione industriale e l’andamento del prodotto interno lordo sono variabili nella disponibilità del  sistema industriale più che del sistema politico.  Il governo dell’economia infatti si manifesta come una variabile complessa costituita da interventi governativi ed interventi realizzati da gruppi e forze industriali.
Se infatti le tasse possono essere ridotte dal Governo, insieme con il cuneo fiscale sul lavoro e se il Governo può spronare ad un maggiore controllo di legalità nello stesso tempo sono le imprese che devono investire di più e cercare di realizzare maggiori attività produttive di valore aggiunto.
Il disimpegno da parte delle imprese verso la produzione nazionale, realizzato sia con la scelta della delocalizzazione che con la scelta della finanziarizzazione dei profitti delle imprese, insieme con la ricerca di assetti proprietari volti al potenziamento finanziario più che industriale hanno ridotto la capacità competitiva del capitalismo italiano.
La scarsa cultura economica d’impresa e la tendenza da parte delle imprese ad essere assistite sotto il punto di vista finanziario sia dai finanziamenti pubblici che da relazioni di favore con gli istituti di credito hanno ridotto la capacità competitiva delle imprese italiane.
Il difficile passaggio della crisi si è manifestato anche in corrispondenza di una fase di passaggio delle imprese familiari a generazioni più giovani. Un passaggio di per sé difficile, reso più complicato dalla congiuntura economica.
La difficoltà di resistere all’invasione di capitali stranieri in Italia ha complicato ancora la situazione delle imprese italiane.
Inoltre la difficoltà a esportare oltre l’area europea rende la situazione dell’industria italiana difficile sotto il punto di vista internazionale.
Il Governo può agire con tasse, spesa pubblica e regolamentazione per indirizzare una fase espansiva dell’economia. Tuttavia sono sempre le imprese,i gruppi industriali a dover scegliere di realizzare dei nuovi investimenti produttivi in Italia, di rilanciare la produzione di valore aggiunto, di scegliere la via di una internazionalizzazione oltre i confini dell’Unione Europea.
In questo senso puntare su progetti nuovi, su nuovi brevetti, può essere fondamentale. Esiste un certo dinamismo con riferimento al fenomeno delle start up, della partecipazione diffusa alla produzione. Tuttavia si tratta molto spesso di iniziative discontinue. Gli imprenditori operanti nel settore industriale-manifatturiero potrebbero cercare di selezionare meglio questi progetti per incrementare il livello di innovazione delle proprie industria, di fatto esternalizzando una fase di ricerca e sviluppo e premiando quelle innovazioni in grado di innestarsi meglio con la struttura organizzativa aziendale.
Gli economisti neoclassici dicono che l’impresa è un fascio di contratti. Per realizzare contratti servono relazioni. Le relazioni si fondano sulla fiducia. E in questo senso il sistema industriale può fare molto per migliorare la capacità di concludere contratti e di introdurre nuove risorse nella produzione.


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