martedì 31 luglio 2018

Un approccio morale alla bassa crescita

“Quando un Paese vive una lunga fase con crescita zero, il suo tessuto culturale si modifica. I sentimenti condivisi dalla popolazione si modificano anch’essi. E spesso diventano sentimenti di sospetto e di ostilitĂ  perchĂ©, per chi ha conosciuto solo una crescita zero, chiunque guadagni in un anno anche un solo euro piĂ¹ dell’anno prima ci sta dicendo che qualcun altro ha guadagnato un euro in meno. La “somma zero” diventa così una potente narrazione politica: chi vince lo fa solo a scapito dei piĂ¹ deboli”( Il tarlo generazionale della crescita zero, di Carlo Bastasin, 31 luglio 2018, Il Sole 24 Ore),

Il prodotto interno lordo dell’Italia non cresce. La dimensione stessa della crescita economica risulta essere una impossibilitĂ  di carattere economico-sociale. E’ difficile dire quali siano le motivazioni che impediscano una effettiva crescita del prodotto interno lordo soprattutto nell’interno di un contesto internazionale nell’interno del quale invece le economie crescono in modo molto ampio. Tuttavia la mancata crescita economica risulta essere un problema che nessuna riforma istituzionale puĂ² risolvere. La crescita economica non si risolve eliminando gli immigrati, tagliando i vitalizi, o producendo lotte dell’onestĂ , in un paese che ha crocifisso la propria classe politica, senza perĂ² riuscire a scalfire l’immoralitĂ  ampia e diffusa nel paese nei suoi vari strati a prescindere dalle classi dirigenti. 

Il cambiamento morale di un paese non puĂ² essere prodotto soltanto dalla politica, ma viene anche ad essere generato attraverso un contesto di istituzioni di carattere culturale, ideale. I riferimenti non mancano a livello internazionale, ma in Italia, la dimensione della corruzione, della concussione, della raccomandazione, sembrano store assai piĂ¹ performanti rispetto alle store capitalistiche del self made man, dell’impresa auto-fondata, dell’uomo libero dai condizioni di carattere etico-morale in grado di operare per se stesso e di generare anche un certo beneficio per la comunitĂ . E poi occorre considerare un altro importantissimo limite presente nell’interno dell’economia italiana ovvero il pregiudizio nei confronti del denaro. 

Il pregiudizio nei confronti del denaro arreca un grave danno soprattutto ai poveri. Molti infatti insistono con meta-narrazioni che raccontano una vita bella e povera, specie nel sud del paese, dove sarebbe possibile condurre un gioco permanente al ribasso dei redditi. Ma in un contesto di competizione globale nell’economia della conoscenza, la meta-narrazione del “con poco si sta bene” genera una riduzione del valore del capitale umano e quindi una crescita dei fenomeni della corruttela, della inedia, della mancanza di iniziativa economica-sociale. Nessuno infatti sembra comprendere che la generazione di un clima sociale di qualitĂ  orientato ai valori, ed ispirato a livello etico-morale possa avvenire soltanto a partire da un certo reddito, poichĂ© sotto una certa soglia reddituale non ha senso chiedere alla popolazione di evitare di arrotondare con “lavoretti a nero” che a volte oltre ad infrangere i limiti delle leggi del diritto del lavoro scadono anche nell’interno dei reati penali. 

Inoltre occorre anche considerare, ed in questo senso molto si potrebbe fare, che in molti paesi del Sud il valore della raccolta di depositi tende a superare il valore degli impieghi in modo strutturale, ovvero il deficit di investimento che viene ad essere realizzato attraverso il riferimento all’invocazione delle politiche pubbliche, in realtĂ  potrebbe essere risolto attraverso l’utilizzo del risparmio, che pure copioso, è presente nell’interno del sistema bancario meridionale. Tuttavia per fare in modo che quel denaro possa essere investito è necessario che le istituzioni pubbliche realizzino un coordinamento con gli istituti di credito per poter individuare insieme con gli imprenditori quali sono gli strumenti necessari per garantire un investimento efficiente delle risorse, in modo che il pubblico venga ad essere impegnato nella creazione dei beni pubblici ed invece il privato continui nella produzione di profitto, di lavoro e di rendimenti per gli stakeholders.
Ed infine occorre considerare la questione della tecnologia. In modo particolare la tecnologia in grado di avere un impatto assai positivo in termini di prodotto interno lordo è certamente l’economia generata dall’informatica. Tuttavia nel senso dell’informatica mancano ancora dei global players italiani che possano prendersi la responsabilitĂ  sia di competere a livello internazionale, sia di realizzare lo shaping delle preferenze e dei costumi degli italiani, sia di generare ricchezza con nuovi prodotti e servizi sia di innovare anche la pubblica amministrazione nel cambiamento complessivo del rapporto tra i cittadini e il potere politico definito nell’interno delle istituzioni. Il problema della crescita diviene difficile da risolvere senza l’utilizzo delle tecnologia. Per avere una idea basti pensare alla questione dell’e-commerce, dei bitcoin, delle monete digitali, dell’utilizzo del lavoro attraverso internet, della mancanza di un codice dell’economia di internet che possa essere utilizzato per risolvere le controversie, specie di carattere internazionale che sorgono nell’eseguire delle contrattazioni sorte nell’interno del mercato digitale.

Del resto appare evidente, guardando ai dati dell’Eurostat che l’Italia è uno dei pochi paesi ad avere ancora nel 2017 un PIL basso rispetto all’anno base del 2010. In modo particolare se si pone l’anno 2010 come base si vede che la Grecia (82,9), Cipro(98,8), Italia(99,4) e Portogallo (99,9) sono gli unici 4 paesi ad avere un prodotto interno lordo inferiore al valore di 100 ovvero inferiore al valore dell’anno 2010.

Classifica dei paesi per reddito calcolato avendo come base l'anno 2010  (2010=100)
Rank
GEO/TIME
2017
1
Greece
82,8
2
Cyprus
98,8
3
Italy
99,4
4
Portugal
99,9
5
Finland
105,2
6
Spain
105,4
7
Croatia
105,6
8
Serbia
106,6
9
Euro area (12 countries)
108,2
10
Euro area (EA11-2000,EA12-2006, EA13-2007 EA15-2008, EA16-2010, EA17-2013, EA18-2014, EA19)
108,4
11
Euro area (19 countries)
108,4
12
Belgium
108,4
13
France
108,8
14
Netherlands
109,1
15
European Union (15 countries)
109,5
16
European Union (without United Kingdom)
109,7
17
European Union (current composition)
110,4
18
Denmark
110,4
19
Austria
110,4
20
Slovenia
110,5
21
Switzerland
111,2
22
Norway
112,3
23
Germany (until 1990 former territory of the FRG)
113,1
24
United Kingdom
114,7
25
Czech Republic
116,1
26
Bulgaria
116,2
27
Former Yugoslav Republic of Macedonia, the
116,2
28
Hungary
116,9
29
Albania
117,3
30
Sweden
117,4
31
Slovakia
120,9
32
Luxembourg
121,5
33
Poland
125,0
34
Latvia
127,1
35
Lithuania
127,9
36
Iceland
128,0
37
Estonia
128,1
38
Romania
128,8
39
Malta
144,5
40
Ireland
161,4

 
Molti danno la colpa all’altro, che è l’immigrato, il burocrate europeo, il vecchio politico. Essi non s’avvedono di partecipare al declino del paese.

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