“Quando un Paese vive una lunga fase con crescita zero, il suo tessuto culturale si modifica. I sentimenti condivisi dalla popolazione si modificano anch’essi. E spesso diventano sentimenti di sospetto e di ostilitĂ perchĂ©, per chi ha conosciuto solo una crescita zero, chiunque guadagni in un anno anche un solo euro piĂ¹ dell’anno prima ci sta dicendo che qualcun altro ha guadagnato un euro in meno. La “somma zero” diventa così una potente narrazione politica: chi vince lo fa solo a scapito dei piĂ¹ deboli”( Il tarlo generazionale della crescita zero, di Carlo Bastasin, 31 luglio 2018, Il Sole 24 Ore),
Il
prodotto interno lordo dell’Italia non cresce. La dimensione stessa della
crescita economica risulta essere una impossibilitĂ di carattere economico-sociale.
E’ difficile dire quali siano le motivazioni che impediscano una effettiva crescita
del prodotto interno lordo soprattutto nell’interno di un contesto
internazionale nell’interno del quale invece le economie crescono in modo molto
ampio. Tuttavia la mancata crescita economica risulta essere un problema che
nessuna riforma istituzionale puĂ² risolvere. La crescita economica non si
risolve eliminando gli immigrati, tagliando i vitalizi, o producendo lotte dell’onestĂ ,
in un paese che ha crocifisso la propria classe politica, senza perĂ² riuscire a
scalfire l’immoralitĂ ampia e diffusa nel paese nei suoi vari strati a
prescindere dalle classi dirigenti.
Il
cambiamento morale di un paese non puĂ² essere prodotto soltanto dalla politica,
ma viene anche ad essere generato attraverso un contesto di istituzioni di
carattere culturale, ideale. I riferimenti non mancano a livello
internazionale, ma in Italia, la dimensione della corruzione, della
concussione, della raccomandazione, sembrano store assai piĂ¹ performanti
rispetto alle store capitalistiche del self made man, dell’impresa auto-fondata,
dell’uomo libero dai condizioni di carattere etico-morale in grado di operare
per se stesso e di generare anche un certo beneficio per la comunitĂ . E poi
occorre considerare un altro importantissimo limite presente nell’interno dell’economia
italiana ovvero il pregiudizio nei confronti del denaro.
Il
pregiudizio nei confronti del denaro arreca un grave danno soprattutto ai
poveri. Molti infatti insistono con meta-narrazioni che raccontano una vita
bella e povera, specie nel sud del paese, dove sarebbe possibile condurre un
gioco permanente al ribasso dei redditi. Ma in un contesto di competizione
globale nell’economia della conoscenza, la meta-narrazione del “con poco si sta
bene” genera una riduzione del valore del capitale umano e quindi una crescita
dei fenomeni della corruttela, della inedia, della mancanza di iniziativa
economica-sociale. Nessuno infatti sembra comprendere che la generazione di un
clima sociale di qualitĂ orientato ai valori, ed ispirato a livello
etico-morale possa avvenire soltanto a partire da un certo reddito, poiché
sotto una certa soglia reddituale non ha senso chiedere alla popolazione di evitare
di arrotondare con “lavoretti a nero” che a volte oltre ad infrangere i limiti
delle leggi del diritto del lavoro scadono anche nell’interno dei reati penali.
Inoltre
occorre anche considerare, ed in questo senso molto si potrebbe fare, che in
molti paesi del Sud il valore della raccolta di depositi tende a superare il
valore degli impieghi in modo strutturale, ovvero il deficit di investimento
che viene ad essere realizzato attraverso il riferimento all’invocazione delle
politiche pubbliche, in realtĂ potrebbe essere risolto attraverso l’utilizzo
del risparmio, che pure copioso, è presente nell’interno del sistema bancario
meridionale. Tuttavia per fare in modo che quel denaro possa essere investito è
necessario che le istituzioni pubbliche realizzino un coordinamento con gli
istituti di credito per poter individuare insieme con gli imprenditori quali
sono gli strumenti necessari per garantire un investimento efficiente delle
risorse, in modo che il pubblico venga ad essere impegnato nella creazione dei
beni pubblici ed invece il privato continui nella produzione di profitto, di
lavoro e di rendimenti per gli stakeholders.
Ed
infine occorre considerare la questione della tecnologia. In modo particolare
la tecnologia in grado di avere un impatto assai positivo in termini di
prodotto interno lordo è certamente l’economia generata dall’informatica.
Tuttavia nel senso dell’informatica mancano ancora dei global players italiani
che possano prendersi la responsabilitĂ sia di competere a livello
internazionale, sia di realizzare lo shaping delle preferenze e dei costumi
degli italiani, sia di generare ricchezza con nuovi prodotti e servizi sia di innovare
anche la pubblica amministrazione nel cambiamento complessivo del rapporto tra
i cittadini e il potere politico definito nell’interno delle istituzioni. Il problema
della crescita diviene difficile da risolvere senza l’utilizzo delle
tecnologia. Per avere una idea basti pensare alla questione dell’e-commerce,
dei bitcoin, delle monete digitali, dell’utilizzo del lavoro attraverso
internet, della mancanza di un codice dell’economia di internet che possa essere
utilizzato per risolvere le controversie, specie di carattere internazionale
che sorgono nell’eseguire delle contrattazioni sorte nell’interno del mercato
digitale.
Del
resto appare evidente, guardando ai dati dell’Eurostat che l’Italia è uno dei
pochi paesi ad avere ancora nel 2017 un PIL basso rispetto all’anno base del 2010.
In modo particolare se si pone l’anno 2010 come base si vede che la Grecia
(82,9), Cipro(98,8), Italia(99,4) e Portogallo (99,9) sono gli unici 4 paesi ad
avere un prodotto interno lordo inferiore al valore di 100 ovvero inferiore al
valore dell’anno 2010.
Classifica
dei paesi per reddito calcolato avendo come base l'anno 2010 (2010=100)
|
||
Rank
|
GEO/TIME
|
2017
|
1
|
Greece
|
82,8
|
2
|
Cyprus
|
98,8
|
3
|
Italy
|
99,4
|
4
|
Portugal
|
99,9
|
5
|
Finland
|
105,2
|
6
|
Spain
|
105,4
|
7
|
Croatia
|
105,6
|
8
|
Serbia
|
106,6
|
9
|
Euro area (12
countries)
|
108,2
|
10
|
Euro area
(EA11-2000,EA12-2006, EA13-2007 EA15-2008, EA16-2010, EA17-2013, EA18-2014,
EA19)
|
108,4
|
11
|
Euro area (19 countries)
|
108,4
|
12
|
Belgium
|
108,4
|
13
|
France
|
108,8
|
14
|
Netherlands
|
109,1
|
15
|
European Union (15
countries)
|
109,5
|
16
|
European Union (without United Kingdom)
|
109,7
|
17
|
European Union
(current composition)
|
110,4
|
18
|
Denmark
|
110,4
|
19
|
Austria
|
110,4
|
20
|
Slovenia
|
110,5
|
21
|
Switzerland
|
111,2
|
22
|
Norway
|
112,3
|
23
|
Germany (until 1990 former territory of the FRG)
|
113,1
|
24
|
United Kingdom
|
114,7
|
25
|
Czech Republic
|
116,1
|
26
|
Bulgaria
|
116,2
|
27
|
Former Yugoslav Republic of Macedonia, the
|
116,2
|
28
|
Hungary
|
116,9
|
29
|
Albania
|
117,3
|
30
|
Sweden
|
117,4
|
31
|
Slovakia
|
120,9
|
32
|
Luxembourg
|
121,5
|
33
|
Poland
|
125,0
|
34
|
Latvia
|
127,1
|
35
|
Lithuania
|
127,9
|
36
|
Iceland
|
128,0
|
37
|
Estonia
|
128,1
|
38
|
Romania
|
128,8
|
39
|
Malta
|
144,5
|
40
|
Ireland
|
161,4
|
Molti
danno la colpa all’altro, che è l’immigrato, il burocrate europeo, il vecchio
politico. Essi non s’avvedono di partecipare al declino del paese.
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