domenica 18 febbraio 2018

Dalla politica economica statale alle comunità produttive

Wade Guyton X Poster (Untitled, 2007, Epson 

UltraChrome inkjet on linen, 84 x 69 inches, WG1208) 2017, Moma


Il Paese sta lentamente uscendo dalla Grande Crisi, ma è appunto estenuato da una transizione politica che non ha la certezza di concludersi con le prossime elezioni.” (http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-02-16/la-passione-civile-fare-impresa-222755.shtml?uuid=AE7ome1D)

Le imprese guardano con interesse le elezioni politiche. Esse chiedono degli interventi di politica economica e industriale. Tuttavia i cambiamenti indotti dalla rivoluzione industria definita 4.0 impediscono di realizzare una qualche connessione positiva tra imprese, impegnate a risolvere la questione della generazione del profitto mediante il valore aggiunto, e politica, impegnata nell’attività di governo degli enti pubblici e dei beni pubblici nell’interesse dei cittadini e dei gruppi organizzati definiti a livello formale ed informale.
Tuttavia l’interesse che le imprese hanno nei confronti della politica economica industriale risulta essere sopravvalutato per una serie di motivazioni, alcune delle quali sono indicate di seguito:
·         La tempistica dell’innovazione tecnologica necessaria per accedere ad una crescita del profitto come manifestazione del valore aggiunto risulta avere una velocità elevata rispetto alla politica economica anche industriale. Le imprese hanno la necessità di sperimentare delle innovazioni, delle tecniche di produzione nuove, fondate su ricerca e sviluppo e sulla tecnologia, ovvero sugli elementi in grado di realizzare una crescita della capacità produttiva installata. L’attività di novazione del processo industriale rivolto alla generazione di prodotti e servizi è una componente essenziale della capacità imprenditoriale. Essa pertanto deve esistere nell’interno delle imprese a prescindere dal riconoscimento pubblico.
·         Privatizzazioni: una delle motivazioni che possono spingere le imprese a richiedere un intervento dello Stato è il processo delle privatizzazioni. Tuttavia le privatizzazioni rappresentano un intervento di politica economica ed industriale che può essere considerato occasionale e marginale rispetto alla necessità delle imprese di generare valore aggiunto nel breve periodo. La strategia politica economica ed industriale deve avvenire per il tramite di una collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore e deve essere rivolta alla crescita del valore degli assets trattati, insieme con una crescita del valore generato per la collettività.
·         Difficoltà di finanziare i progetti innovativi: il finanziamento dei progetti industriali, compresi i progetti di industria 4.0, avviene mediante dei bandi. I bandi pubblici faticano a finanziare i progetti e le start up meritevoli. Le imprese e le start up meritevoli possono hanno necessità di trovare dei capitali finanziari in grado di cogliere gli elementi di innovatività, di profittabilità e di originalità, e pertanto in genere fanno riferimento a investitori privati, ovvero business angels, banche o intermediari finanziari specializzati. Le start up finanziate dagli enti pubblici hanno quindi un valore basso di innovazione, originalità e profittabilità pure nella conservazione di una componente rilevante di generazione del valore aggiunto. Pertanto viene a crearsi un paradosso ovvero lo Stato attraverso l’utilizzo delle risorse economiche e finanziare pubbliche vuole realizzare delle attività di finanziamento delle imprese meritevoli, tuttavia le imprese meritevoli accedono a forme di finanziamento privato, e pertanto lo stato finisce per finanziare delle imprese che hanno un contenuto di innovazione tecnologica ridotto. Tuttavia il finanziamento da parte dello stato delle imprese start up aventi un valore basso di innovazione ha ancora un senso nel complesso delle attività di promozione dell’impresa perseguita dallo stato per il benessere pubblico.
In particolare è necessario analizzare i principi della politica economica ed industriale per verificare la capacità dello Stato di accompagnare le imprese  nella complessa attività di innovazione, originalità e profittabilità. In effetti, se è vero che weberianamente lo Stato e il mercato hanno realizzato un patto nell’interesse della popolazione e delle classi dirigenti, è anche vero che nell’attuale condizione postmoderna, lo Stato ha perso le caratteristiche dell’ente in grado di essere sovrano e pertanto ha anche una capacità ridotta di promozionare le attività delle imprese.
Stato ed imprese risultano sempre più divisi soprattutto alla frontiera dell’innovazione tecnologica, laddove la velocità dei processi impedisce la normazione ed il finanziamento. Del resto lo Stato, specie se con questa definizione si vuole intendere lo Stato europeo moderno, è in crisi nella difesa delle proprie prerogative tradizionali e necessita di un rafforzamento anche per l’efficientamento della pubblica amministrazione. Il fenomeno della corporation in grado di divenire Stato risulta pertanto una conseguenza della debolezza dello Stato e della competitività delle imprese spinte nella corsa alla innovazione tecnologica per incrementare i profitti ed il potere nel mercato e nella vita dei consumatori e dell’opinione pubblica.
Occorre allora un modello endogeno, in grado di operare nell’interno delle comunità, mediante un processo volto alla mobilitazione delle forze economiche, professionali, finanziarie, tecnologiche ed anche valoriali per vincere la sfida della competizione, che è anche una sfida tra territori, tra comunità che diventano soggetti intermedi tra Stato e nazione e che costituiscono anche una piattaforma di capitale per generare valore aggiunto.



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